Le mie radici
Non so fino a quanto siano attendibili gli attestati qui sopra descritti e che furono a suo tempo rilasciati da esperti in araldica, anche se lo stesso stemma l'ho sempre visto nella casa paterna, pitturato in alto, all'interno della porta del primo piano.
Comunque quello che a me interessa scrivere è sulla storia recente della mia famiglia. A partire dalla seconda metà dell'ottocento e precisamente da mio nonno Santi Guerrieri.
Era nato a Fucecchio nel 1853 ( non conosco i nomi dei genitori), era il primogenito di quattro fratelli. Nonno Santi in giovanissima età emigrò a Lucca e intorno al 1870, aprì un piccolo negozio di cappelli in Corte Portici, iniziando di fatto quell'attività che fu la fortuna sue e dei suoi discendenti. Negli anni il negozio si ingrandì e ancora oggi esiste con lo stesso nome: Ditta Santi Guerrieri. Morì ottantenne nel 1933, Raffaello, che era il secondogenito, dopo qualche anno seguì il suo esempio e dato che nonno Santi si era abbastanza sistemato, lo aiutò a impiantare un negozio sempre di cappelli ad Altopascio.
Nonno Santi nel 1928
Con gli anni i negozi aumentarono : da Altopascio a Piombino a Pescia a Montecatini e a Monsummano. I figli, se li distribuirono, Amato il più grande e Dublino andarono a Piombino, Sisto a Pescia, Ettoringo che era il più giovane andò a Montecatini da dove, dato la vicinanza seguiva pure il negozio di Monsummano. Zoe l'unica femmina rimase ad Altopascio dove si sposò e assieme al marito, che scherzosamente da tutti i parenti veniva chiamato il principe consorte, seguiva il negozio di Altopascio. La forza di questo ramo dei Guerrieri fu che anche dopo la morte del padre Raffaello, rimasero uniti e non si divisero pur avendo ognuno la completa libertà nell' ambito del negozio che dirigeva. Zoe Non ebbe figli mentre Amato ed Ettoringo ebbero due femmine ciascuno invece Dublino e Sisto ne ebbero una ciascuno. Avrebbero fatto carte false pur di avere almeno un maschio, ma così non fu e quel ramo dei Guerrieri con la loro morte si estinse e i negozi furono venduti.
Il terzo fratello divenne sacerdote e credo rimanesse a Fucecchio ed il quarto ebbe un figlio, Guerriero, che intraprese la carriera militare e quando arrivò alla pensione aveva il grado di generale. Ebbe tre figli tutti maschi Danilo il più grande fece una bella carriera a Roma al ministero del lavoro, arrivando alla massima carica. Adriano seguendo le orme del padre intraprese la carriera militare, fece la scuola di guerra a Civitavecchia e chiuse prima con il comando del corpo d'armata stanziato ai confini orientali della penisola e successivamente fu sottocapo di stato maggiore dell'esercito, in assoluto la seconda massima carica militare dello stato.
Nell'immediato dopo guerra, ricordo era maggiore, venne a Lucca qualche giorno ospite di mio padre che a seguito degli eventi bellici, era ritornato nella sua città e conobbe una ragazza che gli avevo presentato durante una festa da ballo al circolo universitari che aveva la sede al primo piano del palazzo Bernardini. Era la sorella maggiore di una mia amica, laureata, mi pare di ricordare in lettere. Si frequentarono anche successivamente e poco dopo si sposarono. Ebbero due figli un maschio che so ingegnere ed una femmina, ambedue sposati. Del terzo fratello non conosco i particolari.
Nonno Santi si era sposato con Assunta Bianchini nata a Lucca nel 1849 e morta nel 1921, la quale prima di sposarsi, lavorava alla Manifattura Tabacchi. Di lui ho ben pochi ricordi anche perchè abitavo a Borgo a Buggiano. Però mio padre non di rado portava in auto noi tre figli a Lucca per fargli visita e ogni volta, questo me lo ricordo bene, regalava ad ognuno di noi uno scudo d'argento, le famose cinque lire dell'epoca.
Ebbe quattro figli, Argene che sposò Adriano Del Debbio ed ebbero un figlio Danilo, che dopo gli studi si impiegò alla banca Bertolli che aveva la sede in piazza S.Michele all'angolo di via V.Veneto e via S.Paolino. Di lui quello che personalmente ricordo e che ovviamente non avrei potuto dimenticare è la sua fortuna con le donne. Piaceva molto e fintanto che non si sposò era considerato un play boy. Non più giovanissimo convolò a nozze con Flora Merciai ed ebbero tre figlie, Daniela, Grazia e Cristina; Daniela con una sorella aprì un negozio di abbigliamento da bambino in via Fillungo, attualmente attivo e ritengo ben avviato.
Il secondo figlio di Santi, Isandro, nato nel 1886 e morto nel 1953. Dopo il servizio militare si dedicò completamente al negozio collaborando prima con il padre e successivamente ne fu il titolare. Divenna cavaliere per meriti inerenti alla sua attività commerciale.
Si sposò con Adriana Fosca Casentini ed ebbero due figli Aimone e Manlio. Aimone laureato in economia e commercio una volta richiamato alle armi, durante la seconda guerra mondiale, da ufficiale, fu inviato sul fronte libico.
Alla fine della guerra entrò nell'azienda di famiglia e per alcuni anni fu pure presidente dell'Ente del Turismo a Lucca . Si sposò con Velia Savino (di una famiglia lucchese emigrata in Venezuela dove fece fortuna) ed ebbero due figli, Claudio che una volta laureato e fatto il servizio militare da ufficiale, per un certo periodo con il cugino Franco mise un ingrosso di abbigliamento in genere, poi cessato. Attualmente è presidente della camera di Commercio di Lucca al secondo mandato pur essendo ancora con il cugino contitolare della ditta Santi Guerrieri. Per dare a Cesare quello che è di Cesare è doveroso ricordare che in seguito, pur continuando ad avere la presidenza della Camera di Commercio, all'uninimità è stato nominato presidente della Banca del Monte di Lucca, uno dei fiori all'occhiello della nostra città, banca nata nella notte dei tempi, precisamente nel 1489.
Si sposò con Anna Paola Biagini e da quelle nozze nacquero Lorenzo e Martachiara.
Ilaria la seconda figlia, sposò il Dr. Giampaolo Vannucci, assicuratore e a loro volta ebbero Nicola, che da non molto ha preso il posto del padre nelle assicurazioni, pure lui sposato con Serena Paganucci e attualmente hanno due figli, Ludovica ed Edoardo e un terzo in arrivo, I fratelli di Nicola sono Adriana e Andrea.
Manlio, il secondo figlio di Isandro, una volta diplomatosi in Ragioneria, e dopo il militare fatto durante la seconda guerra mondiale, pur entrando a tempo pieno a lavorare nel negozio paterno, non abbandonò mai del tutto la passione per il calcio. Ebbe succeso in questo sport nel ruolo di centravanti e militò pure in serie A ai tempi d'oro della Lucchese. Senza togliere niente al fratello, si distinse particolarmente nella conduzione del negozio.
E' morto da poco tempo, mentre Aimone lo è da vari anni.
Si sposò con Iva Paolini e nacquero Franco e Laura.
Franco laureato in economia e commercio, per qualche anno, come già detto, con il cugino Claudio si dedicò all'ingrosso di abbigliamento. Una volta cessata questa attività, attualmente, pur esercitando in parte la libera professione, coadiuvato dalla moglie Niccoletta Niccoli, si dedica alla conduzione del negozio ritornato alla vendita del solo dettaglio. Hanno avuto un figlio, Filippo.
Laura laureata in lettere si è sposata con Emanuele Mattei ingegnere. nacque loro una figlia Beatrice, che ha sposato Matteo Mannucci e dalla loro unione è nato Niccolò.
Lida la terza figlia di nonno Santi, sposò Mario Simonetti bancario, che successivamente fu chiamato da mio padre Enrico a dirigere la fabbrica a Borgo a Buggiano. Dopo qualche anno ritornò a Lucca mettendosi in proprio con un azienda che produceva gli stessi articoli.
I loro due figli furono Magda che sposò Enrico Petrini Laureato e funzionario della Cassa di Risparmio di Lucca ed ebbero Vanna poi sposata a Pisa e Manrico laureato in radiologia che sposò Annj Simonini e i loro figli sono Guia e Marzio ambedue sposati e con prole. Manrico è venuto a mancare da vari anni come pure Magda.
Enrico, mio padre, era il figlio minore di Santi. Nacque a Lucca nel 1890 e vi morì il venti Ottobre del 1952. Dei suoi trascorsi giovanili so che prediligeva la filodrammatica non disdegnando di partecipare anche in prima persona, ovviamente recitando da dilettante opere dei suoi autori preferiti, Sem Benelli e successivamente Gabriele d'Annunzio. Anche negli anni della maturità si divertì ad organizzare qualche recita in una delle quali fui coinvolto pure io nella parte di un figlio nei due Sergenti. Avrò avuto massimo cinque o sei anni, Del resto la dice lunga sui nomi dati a noi tre fratelli : Giannetto dalla Cena delle Beffe, Ulrico da L'amore dei Tre Re ambedue di Sem Benelli e Aligi dalla Figlia di Iorio di d'Annunzio.
Amava pure le opere liriche e tra i vari tenori che ebbe modo di conoscere i più noti furono Beniamino Gigli e Lauro Volpi, del quale mi piace ricordare una dedica che gli fece e che diceva testualmente "A Enrico Guerrieri cui la guerra mutilò il corpo e integrò l'anima, con ammirazione". Imparai ad apprezzare le operette seguendolo nelle serate Autunnali a Montecatini Terme al teatro Verdi. Nello sport predigeva il ciclismo ed il calcio. Quante volte anche quando eravamo in collegio, la domenica mattina in auto veniva a prendere noi tre fratelli dal collegio e ci portava a Lucca allo stadio di Porta Elisa o a Firenze allo stadio Berta, cosi si chiamava in onore a Giovanni Berta, martire fascista, dopo sostituito con Artemio Franchi.
Un casuale incontro con Alfredo Binda nel 1936
1934-Uno scritto di Beniamino Gigli a mio padre
Di leva partecipò alla Guerra Italo Turca o più comunemente conosciuta come la guerra di Libia e una volta congedato mi piace pensare che abbia passato due o tre anni felici nella sua città, fino al 24 Maggio del 1915, quando l'Italia entrò in guerra contro l'impero Austro Ungarico. Mio padre fu richiamato e inviato al fronte nella terza Armata e ci rimase praticamente fino al giorno della vittoria il 28 Ottobre 1918 se si pensa che l'ultima ferita l'ebbe il 27 Ottobre 1918 sulla riva sinistra del Po, praticamente nell'ultima battaglia della Prima Guerra Mondiale. Un proiettile gli entrò nello zigomo destro uscendo dalla tempia sinistra, mentre nel Giugno del 1916 aveva avuto altra grave ferita da un proiettile che lo colpì al petto penetrando fino al cuore senza arrivare a toccarlo, ma non essendo stato possibile estrarlo gli rimase per tutta la vita in quella posizione. Questa ferita fu la causa principale della sua precoce morte; devo doverosamente aggiungere, morte che fece seguito ad una vita intensamente vissuta. Altra ferita di più lieve entità l'aveva subita nei primi mesi del 1917. Fu decorato più volte con due croci di guerra, una medaglia di bronzo ed una d'argento. Inoltre ebbe una promozione sul campo per meriti di guerra
Mio padre in Libia - 1911/12
Mio padre a Tripoli nel 1912
Mio padre nel 1917, tenente durante la Prima Guerra Mondiale
Mio padre prima degli anni '20
Teneva moltissimo ai suoi trascorsi da militare e lui medesimo dettò quanto si legge sulla sua lapide:
Cav. Uff. Rag. Enrico Guerrieri Maggiore del ruolo d'onore dell'esercito, super decorato al valore militare, grande invalido di guerra, industriale.
Volle un funerale di terza classe da povero, ma ai quattro lati del carro funebre ci furono comunque quattro personaggi tra i più rappresentativi della città e un picchetto armato dell'esercito che seguì il carro funebre fino al cimitero. Fu sepolto, sempre su sua richiesta, in camicia nera e con le medaglie di bronzo e d'argento appuntante sul petto. La chiesa di S.Concordio dove avvenne la cerimonia religiosa, non fu sufficiente a contenere la gente venuta dal paese dove per vent'anni aveva dato lavoro a tante famiglie. Non va dimenticato che nei momenti migliori la fabbrica ospitava oltre cento dipendenti.
Mia Mamma Olivia Stefani, la "Titta", come la chiamavano in famiglia, nome che poi le rimase per tutta la vita, nata nel 1895, quando venne in Italia aveva appena cinque anni. Suo padre Arturo Stefani era emigrato con la moglie in Brasile nella seconda metà dell'ottocento e avendo fatto una discreta fortuna, come tanti emigranti, sentì il desiderio di ritornare in patria e nella sua città. Aveva una famiglia numerosa se si pensa che nel 1900, rimpatriò con la moglie Emilia e sette figli, lasciando in Brasile altre due figlie ormai sposate e dando l'incombenza ai generi di mandare avanti le attività che aveva creato tra le quali c'era pure una fabbrica di birra a S.Paolo. e una conceria a Riberao Preto sempre nello stato di S.Paolo.
Visse di rendita in Italia quasi venti anni e ritornò in Brasile nel 1919 con tutta la famiglia, solo dopo che la figlia Olivia si era sposata con Enrico Guerrieri.
Ricordo tanti anni fa quando ancora ero giovanotto, nella soffitta di casa trovai un grosso volume che mi incuriosì. Era la storia del Brasile moderno (di allora) e parlava dei pionieri di quello stato e c'era pure nonno Arturo. Sia lui che la nonna Emilia, morirono a Riberaon Preto ultra novantenni.
I miei nonni in Brasile, seconda metà degli anni '20
La mamma, ormai l'unica della sua famiglia rimasta in Italia, aveva trascorso la sua giovanezza a Lucca, ci aveva studiato e preso il diploma di pianoforte all'Istituto Musicale Boccherini, ma mai esercitò la professione.
A Lucca la chiamavano l'americanina, così mi raccontò un vecchio avvocato dal quale andai una volta per una consulenza e che l'aveva conosciuta da ragazza. Aveva lo studio in Piazza S.Giovanni. La mamma morì nel 1997 all'età di cento due anni a Lucca.
1940-41. Con mia mamma al cancello della fabbrica
1941. Mio padre in bici per le vie di Asmara
1918. Diploma di mia mamma all'Istituto Musicale Boccherini
Mio padre a fine guerra anzichè continuare con il fratello Isandro l'attività paterna ormai avviatissima, preferì iniziare un nuovo lavoro. Non ne conosco i motivi, ma immagino che abbia voluto la propria libertà di azione e una volta avuto dal padre la sua parte di eredità divenne industriale.Nelle sue memorie scrisse testualmente: "Mio padre all'epoca stimò congrua per il mio quarto di eredità la cifra di lire seicentomila". Come dire: quello che lui aveva stabilito fosse giusto, lo era anche per me.
E' facile desumere che il patrimio di nonno Santi nel 1919 fosse stimato intorno ai tre milioni di lire.
Il babbo costruì la propria abitazione e la fabbrica che diverrà una delle più importanti nel suo ramo in Italia, in Valdinievole a Borgo a Buggiano, all'epoca provincia di Lucca, perchè sapeva che in questa località avrebbe potuto reperire le maestranze indispensabili alla realizzazione del suo progetto. Iniziò la produzione attorno al 1920.
Clicca qui per leggere la didascalia
Panoramica della fabbrica quasi ultimata (1919/20)
Nonostante gli impegni che avrà avuto, non si dimenticò di essere stato un bravo soldato e in difesa pure di questo suo passato, fu fascista e Marcia su Roma. Non poteva essere altrimenti. Ebbe pure incarichi pubblici e per diversi anni fu podestà: non percepì mai una lira del suo stipendio che donava ai più bisognosi del paese o lo usava per manifestazioni a tutto vantaggio della comunità che amministrava. Storico fu il carnevale che organizzò alla grande nel 1928 con carri allegorici, maschere e quanto altro, scrivendo pure le parole della canzone che fu poi musicata dal Maestro Italo Nucci.
Rimase famoso anche per i discorsi che faceva nelle grandi ricorrenze o a Buggiano Castello o dal balcone della piazza del municipio, improntati all'amore di patria, al ricordo dei caduti e al senso dell'onore. Io non ho che una vaga memoria di questi fatti, ma confermati dalle tante persone che ebbi in seguito l'occasione di conoscere.
Mio padre - anni 20
Mio padre al balcone del Municipio durante un discorso
Poi venne la famosa recessione del 1929 ma lui con grandi sacrifici riuscì a non licenziare nessuno dei suoi dipendenti. Era il suo vanto, ma che poi negli anni successisi ne subì le conseguenze.
Infatti si vide costretto a cercare nuovi mercati e pensò di andare nelle colonie, in Africa Orientale, ma nonostante tutti i meriti che aveva per i suoi trascorsi, non gli fu concesso il permesso.
Aggirò l'ostacolo partendo come camionista e nel 1935 andò all'Asmara in Eritrea.
La fabbrica comunque continuò l'attività condotta da mia madre e nei sette anni che seguirono dimostrò di essere all'altezza del compito affidatole tanto da destare ammirazione anche in anni recenti. E'ricordata nell'archivio storico lucchese a Pescia per aver precorso i tempi come imprenditrice. Solo nel 1942 dovette arrendersi a seguito del bombardamento alla fabbrica ad opera degli aerei americani. Ovviamente in quegli anni non era mancato l'apporto determinante di mio padre che in breve tempo e solo con le sua capacità, ottenne ottimi risultati nel lavoro che aveva intrapreso. Si era introdotto nell'ambiente arabo che aveva in mano il commercio all'Asmara e fu subito stimato e ben voluto. Questo influì non poco al successo che ottenne. Tornava in Italia almeno due volte l'anno, portando denari, ordini per la fabbrica e ripartendo dopo aver comprato merce di ogni genere, dalle auto a qualsiasi tipo di abbigliamento, che poi vendeva ai commercianti arabi.
Nel 1938 onde alleggerire la moglie dalle tante responsabilità, in un primo momento portò in Africa il primogenito Giannetto nato a Lucca nel 1920 che proseguì gli studi all'Asmara fino alla maturità. Solo dopo la guerra, quando ritornò in Italia si laureò in legge a Pisa. L'altro mio fratello Aligi, nato nel 1922 a Borgo a Buggiano, nel 1940 volle andare pure lui in Africa e partì con il babbo, che aveva fatto la solita scappata in Italia, pochi mesi prima che scoppiasse la guerra continuando gli studi all'Asmara, fino al diploma di ragioniere.
1940 - Il babbo e Aligi verso l'Eritrea
Io il terzogenito Ulrico, pure nato al Borgo nel 1925, fui il solo a rimanere con la mamma Titta in Italia, ormai deciso ad intraprendere la carriera militare in marina. Nel settembre del 1940, tramite un concorso nel quale c'erano 27 posti al Collegio Navale della GIL (gioventù Italiana del Littorio) a Venezia, oggi scuola navale Morosini, situato nell'Isola di S.Elena, ce la feci a rientrare in quei ventisette posti disponibili per il primo anno del liceo scientifico. Per quanto mi riguarda ci sono sufficienti argomenti in altra parte di questo sito e non sto a ripetermi. Solo mi fa piacere il viaggio che feci per poter partecipare a quel concorso.
Mia mamma, non sapendo da chi farmi accompagnare (avevo appena quindici anni), si rivolse ad un amico di famiglia, un assicuratore, il quale non so per quale motivo, una volta giunti a destinazione, decise di fare tutto il tragitto a piedi, da Piazzale Roma fino all'Isola di Sant'Elena, praticamente da un capo all'altro della città.
Siccome aveva un forte raffreddore (in treno con una scusa mi ero accomodato in un altro scompartimento) mi dovetti sorbire per oltre un'ora tutti i suoi rumori, dal continuo deglutire, ai rigurgiti, dagli starnuti ai colpi di tosse e un fiume di catarri. Per fortuna non ho memoria del viaggio di ritorno.
Ovviamente il piacere non si riferisce a quello scenario non certo edificante, ma al fatto di ricordare dopo oltre settant'anni, anche nei minimi particolari, quel giorno per me importante e fortemente voluto.
Vorrei aggiungere un'ultima cosa che nel bene o nel male senza dubbio ritengo abbia influito sulla mia formazione. Dall'età di otto anni fino ai venti, escludendo un paio di mesi estivi e non sempre, dal 1933 al 1945 tra collegi, scuola militare e due anni di guerra, li ho sempre vissuti lontano dalla mia famiglia.
Comitato del Carnevale - Il sindaco in alto II° da destra
Claudino Galligani, "l'artista" (Il primo da sinistra)
1940 Ottobre - "pivolo" e allievo al primo corso
Quando gli Inglesi conquistarono l'Eritrea, sia mio padre che nel frattempo era stato richiamato, da l'Asmara fu inviato per un certo periodo a Massaua all'AGIP, Da prigioniero quasi subito dopo fu lasciato libero sulla parola, rimanendo all'Asmara, mentre Giannetto pure militare, conoscendo l'Inglese, fu messo ai telefoni anzichè essere mandato in campo di concentramento e anche lui ebbe una certa libertà soprattutto ebbe l'opportunità di continuare a frequentare i campi da tennis. Era molto bravo in quello sport e lo dimostrò quando, dopo la guerra, rientrò in Italia.
Aligi invece, più irrequieto e con spirito di avventura, per la giovane età non fu richiamato alle armi e una volta preso il diploma, per un certo periodo assieme ad un amico, esplorò l'interno dell'Eritrea. Ma fu di breve durata, perchè prese la malaria e dovette rientrare all'Asmara.
Mio padre richiamato alle armi nel 1940
Non per molto perchè nel 1942 le navi della croce rossa Italiana, la Duilio e la Giulio Cesare, chiamate le navi bianche, facendo il periplo dell'Africa arrivarono a Massaua ed a seguito degli accordi presi con gli Inglesi, imbarcarono tanti italiani riportandoli in patria sempre circumnavigando l'Africa. Naturalmente tutte donne e ragazzi o inabili al servizio militare.
Su tutte e due le navi c'erano degli ispettori Inglesi per controllare la correttezza dell'operazione e sarebbero sbarcati solo una volta arrivati a Gibilterra. Erano ancorate nella baia di Massaua ma distanti dal porto. Aligi che in quel periodo si trovava a Massaua per un piccolo impiego che aveva ottenuto da una ditta americana, sentiva una grande desiderio di ..."rimpatrio per potermi arruolare nell'esercito italiano e combattere"... si legge nel libro che scrisse tanti anni dopo "I miei ricordi."' e poi ..."Quei due punti illuminati, che riflessi nelle acque buie della baia formavano due scie luminose in direzione del porto, li guardavo come l'unica speranza esistente per assecondare il mio desiderio patriottico"...
Trovò l'amico giusto e senza dire niente a nessuno, neppure al babbo e al fratello, una notte con una piccola canoa che faceva acqua da tutte parti, si spinsero fino alle navi all'ancora. Solo nell'ultimo tratto dovettero proseguire a nuoto e dalla catena di una delle ancore, si arrampicarono fino a raggiungere l' 0cchio di Cubia ...finendo tra le braccia di alcuni marinai che li avevano visti e capito il loro intento. Subito li nascosero nel ventre della nave dove ci rimasero fino a quando la Duilio e la Giulio Cesare arrivarono a Port Elisabette e gettarono l'ancora nel porto. A questo punto gli inglesi che erano ben consapevoli dell'esistenza a bordo di clandestini, a mezzo autoparlanti comunicarono che la nave non sarebbe ripartita fintanto che non si fossero presentati e minacciando pure di far sbarcare tutti i passeggeri e se necessario avrebbero usato il gas per snidarli.
Fu doveroso uscire e presentarsi alle autorità inglesi. Solo allora mia fratello e il suo amico scoprirono di non essere i soli ad aver tentato il rimpatrio. Era gente che approfittando dei momenti più favorevoli si era imbarcata confondendosi con gli altri passeggeri infermieri ecc. Comunque tutti furono immediatamente fatti sbarcare e quando venne il loro turno: ..."Scendemmo dalla passserella camminando molto lentamente causa i dolori che avevamo ai piedi ancora gonfi ....io sorretto da Alberto, febbricitante, camminavo con i brividi per la febbre che avevo, causata da un attacco di malaria. Arrivati sulla banchina del porto, ci voltammo verso le bandiere tricolori che sventolavano sui pennoni delle due navi molto vicine tra loro e salutammo romanamente con le lacrime agli occhi.Tutti i passeggeri erano affacciati alle balaustre dei ponti ed in migliaia ci applaudivano e urlavano con grida di incoraggiamento e con frasi inneggianti alla patria. Sfilammo in mezzo al picchetto d'onore di militari dell'esercito inglese schierato in presentat-arme"... poi con un camion furono portati al campo di concentramento che trovarono strapieno di soldati tutti italiani ma nessun ufficiale. ..."Se fossero stati armati ed organizzati da ufficiali avrebbero costituito un tale esercito da conquistare il Sud Africa"... Avevano portato al campo due sacchi che i passeggeri delle due navi con una colletta avevano riempito appositamente per loro di ogni ben di dio.
Ma non ci rimase molto in quel campo perchè assieme ad un altro compagno di prigionia fuggì con l'intenzione di raggiunge il Monzambico stato non belligerante e poter ritornare in Italia. Cercarono e trovarono le rotaie della ferrovia, riuscirono pure a saltare sul vagone di un carro merci che andava nella direzione giusta, ma per una distrazione furono notati e dovettero scappare. Dopo fu un odissea, fame, stanchezza e l'unico abitato che trovarono fu una fattoria dove il proprietario, un Boero, gentilissimo li ospitò, li sfamò, ma senza dimenticarsi di avvisare gli inglesi che li vennero a prelevare riportandoli nel campo da dove erano scappati. Aligi ormai era diventato un ospite indesiderato e con un sommergibile fu trasferito in Inghilterra e solo dopo la guerra potè rientrare in Italia, non senza aver prima sposato la ragazza che gli era stata sempre vicina aiutandolo non poco, in quanto militare e dislocata negli uffici di quel campo di concentramento.
Mio padre che era all'Asmara con Giannetto, fu riconosciuto dagli Inglesi inabile al servizio militare e acconsentirono ad inviarlo in Italia in uno scambio di prigionieri. Questo avvenne nei primi mesi del 1943. Arrivò giusto in tempo per poter fare qualche viaggio al nord per ordinare e acquistare merce pensando al momento della ripartenza con la fabbrica ma con la sede a Lucca,non più a Borgo a Buggiano.
Venne il venticinque Luglio del '43, poi l' otto Settembre e ai primi del 1944 arrivarono gli alleati e dopo alcuni mesi con la linea Gotica l'Italia fu divisa in due tronconi. Naturalmente Il babbo era sempre al paese con la mamma, mentre io nell'Ottobre del 43 ero partito militare e mi trovavo al nord.
Arrivarono pure i partigiani che fecero man bassa saccheggiando e facendo saccheggiare quanto era stato acquistato qualche mese prima, anche se il babbo aveva fatto murare tutto nella parte della fabbrica rimasta in piedi, ma inutilmente. Sparirono pure tutti i macchinari e come ebbe fine la guerra e tornò un po' di tranquillità, sia in paese che a Montecatini Terme nacquero alcune fabbriche con i nostri macchinari e la nostra merce. Ma non si contentarono e portarono via pure mio padre che secondo loro, doveva essere fucilato perchè fascista. Lo salvò il coraggio della mamma che con l'aiuto di altre donne ex dipendenti, di brutto si misero in mezzo obbligando gli aggressori ad un salutare ripensamento. Naturaralmente per questa azione tutti i partigiani erano venuti da altre località perchè risultò non ci fosse una persona del paese immischiata in questo eroico atto di guerra.
Una volta libero, racimolò con la mamma quel poco che potè trovare, lo caricarono su alcuni carri trainati da dei ronzini e come mendicanti si trasferirono a Lucca, andando ad abitare nella casa per la quale in precedenza aveva fatto il compromesso d'acquisto perchè a suo avviso al piano terra c'erano diversi locali idonei ad ospitare la nuova fabbrica che aveva in mente di rimettere in piedi.
Quando io scappai dal campo di concentramenti di S. Rossorre nel Maggio del 1945, mi ero guardato bene da ritornare al paese ed ero andato a Lucca, pensando di essere ospitato dai parenti, Invece ebbi la sorpresa di sapere che i miei genitori si erano trasferiti a Lucca.
Ma la situazione non era delle più rosee, perchè Il babbo intanto era stato accusato di arricchimento con il passato regime e anche volendo fare qualche cosa aveva le mani legate e io dovevo stare nascosto perchè ricercato del tribunale di Savona per Collaborazionismo e crimini. I miei fratelli, mi ripeto, uno era ancora in Africa Orientale all'Asmara e l'altro in Inghilterra, ambedue prigionieri.
Per fare chiarezza un po' su tutto ci volle piu di un anno: Io fui assolto in istruttoria dai crimini che mi avevano attribuito e ovviamente mai avvenuti, mentre per il babbo si cominciò a pensare che, come effettivamente era stato, se tanto c'era con il fascismo ci aveva rimesso non certo guadagnato. Alla fine della prima guerra mondiale era un signore e già nella seconda metà degli anni trenta, fu costretto ad espatriare.
Comunque decise di non più attendere ulteriormente e di iniziare a lavorare cercando e trovando un socio di paglia per ovviare al problema di cui sopra, avendo ancora le mani legate. Io lo aiutai a reperite maestranze, anche se avevo iniziato a frequentare il corso di ingegneria a Pisa dove mi ero iscritto già dal 1943.
Dei miei fratelli il primo a rimpatriare fu Giannetto e dopo diversi mesi tornò pure Aligi. A questo punto il socio capito la situazione, accettò di essere liquidato, anche se a caro prezzo, ma era giusto cosi. Furono assunte tre maestre una esperta di camicie, una di cravatte e la terza di pantaloni. Una volta che il babbo ebbe liberi gli immobili dai vincoli, vendette praticamente il vendibile per creare una solida base all'azienda e fu pure venduto il palazzotto che aveva fatto costruire a Viareggio in via Fratti angolo Americo Vespucci, pagandolo senza togliere una lira dall'azienda con invio di acconti mensili dall'Asmara. Noi tutti ci demmo da fare e i risultati non tardarono ad arrivare. I vecchi clienti cominciarono a ritornare e con i nuovi ci fu un impatto favorevole perchè andarono sempre aumentando di numero. All'inzio del 1950 l'azienda inpiegava già oltre cinquanta dipendenti e aveva assunto un'immagine di tutto rispetto.
Naturalmente cominciarono a farsi vive le ditte dei fornitori vecchie e nuove. Spesso e volentieri i rappresentanti che venivano erano accompagnati da personalità del vecchio regime o da loro familiari. Ricordo che una volta venne pure un attore famoso che subito riconobbi perchè in quegli anni aveva interpretato vari film. Per sopravvivere si adattavano a fare da spalla e che spalla se si pensa che mio padre a tutti indistintamente mai mancò a di fare una commissione, piccola o grande che fosse, anche se a volte avrebbe potuto benissimo farne a meno. Si era formato un triangolo (della vita, non della morte): La ditta fornitrice dava a queste persone la possibilità di guadagnare qualche cosa perchè per molti di essi si trattava di vera e propria necessità e a sua volta ne traeva pure un beneficio perchè, per la quasi totalità dei casi gli ordini divenivano più consistenti. L'acquirente, non si metteva le mani in tasca e pur tutelando i propri interessi, faceva del bene a persone che avevano avuto la sola colpa di essere stati, come si usa dire oggi, dalla parte sbagliata. I beneficiati con questo lavoro guadagnavano ed evitavano l'umiliazione di un aiuto o di in gesto che comunque avrebbe sempre avuto il sapore di una elemosina.
Purtroppo nel 1952 il babbo all'età di 62 anni morì lasciando un gran vuoto a tutti i livelli e da allora ognuno di noi tre prese la propria strada. La direzione della fabbrica rimase al primogenito Giannetto, pur restando tutti e tre soci. Ma quando si sposò con Giovanna Bonuccelli che aveva lasciato l'impiego in banca per entrare nell'azienda, liquidò noi fratelli e costruì la fabbrica nuova anche se per un certo periodo si occupò di auto avendo l'esclusiva della tedesca Prins ottenendo un bel successo. Ha scritto un grosso libro La mia Africa che parla dei cinque sei anni trascorsi in Eritrea all'Asmara che suppongo siano stati i più belli della sua vita. Tra l'altro è interessante perchè è uno spaccato della vita di colonia degli italiani di quegli anni.
Ebbero tre figli, Massimo che una volta sposato con Annalisa Grova ebbe due figli Gabriele e Filippo. Successivamente chiuse definitivamente i ponti con l'Italia vendendo tutto quanto aveva ereditato e guadagnato, emigrando a New Jork dove inpiantò ex novo una attività in proprio. Fu un atto di coraggio da non poco, che si merita oltre che la stima di tutti, il successo e un futuro di grandi soddisfazioni. Questo è il mio pensiero.
I miei genitori nei primi anni '20
Il secondo figlio di Giannetto è Isabella che sposò Massimo Fenili ed ebbero due figli Nicola e Michele.
Il terzo figlio è Andrea non sposato.
Aligi il secondogenito di Enrico nato nel 1922, tornato dalla prigionia con la moglie Joan Blears, dopo la morte del babbo, essendo nata la sua primogenita Maria Antonietta (Miette) , accettò l'invito dello zio Mario Simonetti andando a lavorare nella sua fabbrica con mansioni direttive, praticamente ripetendo quello che mio padre aveva fatto con lui circa trent'anni prima. Ci rimase alcuni anni. Una volta libero costruì la sua fabbrica sempre di copricapo. Morto pochi anni fa, gli è succeduto nel lavoro il figlio Enrico che ha sposato Morena Derico e non hanno figli.
Miette è sposata con Enrico Lippi, hanno avuto un unica figlia Alessia al momento non sposata.
Il terzo figlio è il sottoscritto, Ulrico. Dopo la morte del babbo, avevo già lasciato l'università ed avevo pure fatto una piccola società con Faraoni Loris conosciuto casualmete perchè suo padre qualche volta veniva in fabbrica o per comprare o per proporre clienti. Eravamo diventati amici e ...compagni di merende. Anche se la sua famiglia in passato, forse aveva fatto qualche peccatuccio, lui fu sempre onesto con me e restammo soci fino alla sua morte avvenuta alla fine degli anni settanta. Iniziammo con filati di lana e altri prodotti ma stando ben attenti a non trovarci in concorrenza con articoli che già trattavano i miei fratelli e cugini. In seguito avemmo anche un maglificio. Arrivammo ad avere la nostra visibilità un poco alla volta, ma senza l'aiuto di chicchessia e tengo a precisarlo, per libera scelta.
All'età di trent'anni mi sposai con Maria D'Amelio che avevo conosciuto quando lei aveva poco meno di quindici anni, ma nuovamente incontrata dopo oltre un lustro. La sua famiglia dalla parte di madre era lucchese e il nonno l'ingegner Passaglia titolare della Veraci SPA che fabbricava macchinari per frantoi a Firenze, era parente dell'omonimo scultore Augusto Passaglia molto stimato a Lucca e ricordato come un bravo vestitore di statue, era come dire: Nel fare le statue scolpiva i personaggi ma aveva una particolare capacità nel vestirli. Esiste a Lucca l'istituto intestato a suo nome.
La mamma Titta negli anni '30
A Viareggio (inizio anni '30) noi tre fratelli con i genitori
La mia famiglia nel 1932
Dal matrimonio nel 1956 nacque Marco, che una volta arrivato alla maturità artistica smise gli studi. Di leva, fece il corso ufficiali nei bersaglieri a Cesano di Roma, poi da ufficiale passò alla Folgore a Pisa, ritornando in ultimo nei bersaglieri. Successivamente e dopo la morte del socio, mi subentrò dell'azienda ed io mi dedicai alla passione di una vita, mettendo una galleria d'arte.
Attualmente Marco pur avendo continuato l'attività l'ha completamente trasformata e indirizzandola all'esportazione. Si è sposato con Marzia Berti ed hanno avuto un figlio Ruben, attualmente diciottenne e in procinto di iscriversi, credo alla facoltà di legge a Pisa.
Negli ultimi tempi Marco si è dato alla politica, pur continuando la sua attività commreciale e direi con un discreto successo. Qui a Lucca rappresenta il partito Fratelli d'Italia.
Olivia è la secondogenita. Nata nel 1963, interruppe gli studi superiori in quarta ed entrò socia in un negozio di articoli di cancelleria. Dopo qualche anno cessò questa attività per seguire quello che era la sua passione. Con un concorso entrò in ospedale come infermiera professionale. Già quarantenne prese la maturità di Tecnico assistente sociale, per poter accedere all'università.
In seguito ha conseguito il Diploma universitario Master di primo livello in Infermiera di famiglia e di comunità, conseguendo ad oggi la laurea di dottoressa in infermieristica.
I miei figli Olivia e Marco nella verde età
A Cesano di Roma con mia moglie e i miei figli in un giorno felice
Con mio nipote Ruben
Mio nipote Riccardo
Con mia nipote Luisa
Siamo alla fine. Quanto ho scritto vuol essere un ricordo ai parenti con i quali ho condiviso il nome che portiamo, con orgoglio e che, ch'io sappia, tutti ad oggi abbiamo sempre onorato. Ma più che altro è un pretesto per rendere un doveroso omaggio ai miei genitori: A mia mamma Titta che ha saputo essere madre premurosa, una brava imprenditrice in tempi impensabili e che seppe superare tante avversità. Di carattere invidiabile ma con un carisma che all'occorrenza le permise di imporsi alla malvagità umana in difesa del suo uomo.
A mio padre Enrico la cui vita è stata un continuo susseguirsi di gesta tra guerre e pace, che aveva un senso profondo di amor patrio, un intuito invidiabile accompagnato da una volontà di ferro nel lavoro. Fu uomo fedele ai suoi principi e ai suoi ideali senza compromessi. Amò la famiglia e fu per noi figli un amico prima che un padre.
Scritto nel mese di Agosto del 2010
Raccolta fotografica
clicca sulla foto per ingrandirlaAppendice alle "mie radici"
un doveroso omaggio
Dopo oltre sentatt'anni di oblio emerge casualmente un episodio sconosciuto ai più che a mio avviso
merita essere divulgato, non perchè riguarda direttamente mio fratello, ma perchè rispecchia un periodo ben preciso della nostra storia, tanto contrastato e vilipeso, ma che nella realtà dimostra tutto il contrario.
Un doveroso omaggio a mio fratello Aligi
U.G.
Post scrittum.
E' con piacere e debbo aggiungere pure con un pizzico di orgoglio, che mi accingo ad inserire al seguito dello scritto "Le mie radici" il documento che mio fratello Aligi, ormai deceduto da vari anni, aveva gelosamente conservato in un cassetto tra due vetri e solo ora casualmente ritrovati da sua figlia, mia nipote Maria Antonietta Guerrieri "Miette" che si è premurata di consegnarmelo.
A suo modo fa parte della nostra Storia e, ammesso ce ne fosse stato bisogno, riflette il patriottismo degli italiani e ll loro sentimento verso chi all'epoca li governava.
Unico nel suo genere, questo documento rileggendolo a distanza di così tanti anni, al
di là del gesto che lo ha sollecitato, è certamente da non disperdere.
Permane la genuinità dell'improvvisazione di questi passeggeri imbarcati sulla Duilio, una delle cosi dette "navi bianche" che dal porto di Massaua stavano rientrando in Italia e che a Port Elizabeth in Sud Africa a seguito di una sosta "voluta" dal nemico, per testimonianza vollero valorizzare ulteriormente quel fatto e tramandarlo ai posteri apponendo la loro firma come dire "Io c'ero".
Pure gli inglesi che avevano imposto questo "imprevisto attracco" per poterli catturare, una volta che i due giovani scesero dalla nave salutando romanamente il tricolore che sventolava sul pennone della nave, con le lacrime agli occhi, ritennero doveroso omaggiarli concedendogli l'onore delle armi.
Lucca Agosto 2015
Alcuni chiarimenti.
Dell'altro giovane partecipe di questa avventura se ne conosce solo il nome, si chiamava Alberto.
Su il giornale "La Nazione" portante la data Dom.Lun.31 Gen.-1 feb.1943-XXI E.F.
che racconta i fatti di cui sopra, all'intestazione c'è un nome scritto a penna "Stefani".
E' quello di nostra madre che appunto di chiamava Olivia Stefani Guerrieri e si può
ragionevolmente pensare sia stato scritto dal giornalista che poi le consengnò il giornale.
Sempre su lo stesso giornale, verso la fine del racconto, si parla di una signora Santori.
Lo stesso nome lo si trova tra le firme dei passeggeri, "Dedy Greco Santori" madre di Lorenzo amico ad Asmara dei miei fratelli.
Io ne fui messo a conoscenza solo nell'estate di quell'anno perchè sin dal 1940 studiavo a Venezia nell'isola di Saant'Elena sede del Collegio Navale della GIL, oggi scuola Navale Morosini.
Chi ne volesse sapere di più su questo argomento, torni indietro su questo sito quando si parla di Aligi cliccando qui.