I SOGNI NEL CASSETTO
La Carta di Verona.
Osservazioni sull''invito fattomi dall'amico Mario Pellegrinetti: Raccontare l'esperienza
di alcuni reduci militanti nella R.S.I. sul tentativo di mettere in pratica la Carta di Verona con
particolare riferimento all'articolo 12 della stessa.....
Avevo iniziato con queste parole la mia versione, quando su Acta del Maggio Luglio 08, leggo praticamente tutto quanto c'era da dire in un articolo ben fatto e soprattutto senza ombra di dubbio documentatissimo, cosa che il sottoscritto mai avrebbe potuto fare.
Il mio racconto più che altro si basava su flash, limitati ai ricordi di quegli anni nei quali anche se ne ero stato partecipe convinto, li avevo vissuti da gregario, come un semplice portatore di acqua e nei limiti delle mie possibilità economiche di allora, ma niente di più.
Ciò non toglie che sono ugualmente stimolato a scrivere qualche cosa sull'argomento, senza pretesa alcuna di aggiungere niente di importante, al massimo qualche curiosità o notizie di secondaria importanza. Tutto qui. Con questo intendimento, però partirò da molto lontato, diciamo dal 1945 e c'è un perchè.
In quel periodo di prigionia che seguì immediatamente alla fine della guerra e che ho raccontato nel volumetto I giorni che contano avevo tralasciato di scrivere un particolare che all'epoca non mi parve il caso di evidenziare.
Nel campo di concentramento di S. Rossore, il primo prigioniero che incontrai fu il
vicino di baracca che in quel momento era intento ad rassettare il suo giaciglio. Aveva l'aria di averci preceduto di qualche giorno e sbirciando dentro la sua alcova notai oltre che la solita branda, una sedia ed un tavolino. Non è che all'epoca avessi immaginato minimamente chi fosse, ma ebbi l'impressione di avere a che fare con una faccia non nuova, coma capita a tutti, anche abbastanza spesso, di vedere una persona e pensare:mi pare di averlo già visto. Chi fosse effettivamente ne ebbi la certezza solo dopo qualche tempo , quando ormai era diventato un personaggio pubblico e"strombazzato" su tutti i giornali. Lo riconobbi senza ombra di dubbio perchè una figura così una volta vista, non si poteva dimenticare. Era Ezra Pound.
Sorge spontanea la domanda del perchè di questa notizia con quanto sto per raccontare; niente se non per un particolare. Alla scoperta di questa casuale coincidenza, all'epoca anche pensando a tutte le peripezie cui questo personaggio successivamente si trovò ad affrontare, fui incuriosito nonchè stimolato ad acquistare e poi leggere il libro di poesie che aveva scritto in quello stesso luogo. Naturalmente mi riferisco ai Pisan Cantos, i Canti pisani.
Esattamente è in quel breve lasso di tempo intercorso dal mio arrivo al campo di concentramento di S. Rossore al successivo trasferimento all'infermeria dello stesso campo, dalla quale poi tolsi il disturbo, assieme ai due gemelli Costalli che sappiamo purtroppo quale triste sorte toccò loro, che fummo vicini di casa e compagni di prigionia. Con la fuga che segui evitai pure le forche caudine del trasferimento che avvenne poco dopo, ma di questo particolare dovuto al travaso dei prigionieri dal campo di S:Rossore a quello di Coltano ne venni a conoscenza solo in seguito. Infatti dato la vicinanza dei due campi di concenttramento, fu fatto a piedi tra due ali di folla inferocita che ritengo preventivamente avvisata e.... che mi ricorda altre accoglienze simili da me raccontate sempre nel diario e subite nei trasferimenti da Alessandria a Genova su un treno merci che si fermava a tutte le stazioni accolti a "braccia aperte" da una marea di gente e successivamente dal campo sportivo di Genova a Pisa su camion scoperti guidati da soldati americani di colore,
pigiati come sardine e anche allora le fermate erano di obbligo per ricevere nelle migliore delle ipotesi, gli improperi della gente.
Lo ammetto, fu duro il tentativo di leggere questo libro di poesie, costretto come ero ad ogni riga ricercare le note chiarificatrici e pur anch'esse non sempre sufficienti. ma che ugualmente mi avvinceva. Quegli improvvisi e continui inserimenti e sovrapposizioni, quelle scene sempre diverse, i nomi, i personaggi storici e no, le figure mitologiche, le città, gli stati,gli aneddoti e chi più ne ha più ne metta, ma soprattutto la loro musicalità da quando capii che dovevo leggerli ad alta voce, mi appagarono pienamente.
Proprio all'inizio, al canto CXXIV e alle primissime righe, ritengo volutamente come per non lasciare dubbi sull'inportanza che Ezra Pound dava in parte dei suoi canti medesimi ai personaggi, ma soprattutto a ciò in cui fermamente credeva, scrive: "L'enorme tragedia del sogno sulle spalle curve del contadino Manes! Manes fu conciato e impagliato, Così Ben e Clara a Milano per i calcagni a Milano Che i vermi mangiassero il torello morto DIGENES, ma il due volte crocifisso dove lo trovi nella storia?.... ". Tralascio quanto altro, una volta chiarito che l'accenno alla fine di Mussolini "chiude incisivamente l'avventura politica cui aveva affidato le sue teorie econimiche, morali e sociali" e solo aggiungo quello che scrive più avanti riferendovi ad altro personaggio della R.S.I. : "....Oh si, il danaro c'è, il danaro c'è", disse Pellegrini (molto strano date le circostanze)... e dopo qualche tempo ebbi l'opportunità di conoscere suo figlio Gianpietro Gaetano.
Nel corso degli anni dopo il primo incontro dei reduci della R.S.I. avvenuto a Firenze e che fu una vera rimpatriata, ne seguirono molti altri, dando così a tutti noi, la possibilità di riallacciare vecchie amicizie e farne delle nuove. Non sto a fare nomi, faticherei a trovarne ancora qualcuno in vita, perchè quelli che nell'ultimo decennio e aggiungo per fortuna, ancor oggi partecipano a questi incontri, a voler essere generoso, ben pochi li ricordo presenti a quei tempi. Lo dico per correttezza di cronaca, ma non parlo ovviamente dei giovani. Comunque sia al nostro gruppetto Lucchese si era aggiunto il piemontese e amico Teresio Sordo che era stato con noi alla scuola di Rivoli Torinese, il quale a sua volta mi presentò, ecco il punto, Pellegrini Junior Giampietro Gaetano figlio di Giampietro Domenico (sottosegretario e poi ministro delle finanze durante il periodo della repubblica di Salò; fu anche un importante funzionario della corporazione della Previdenza e del Credito.) e che sapevo essere uno degli artefici durante la Repubblica Sociale Italiana
di quella che venne chiamata La Carta di Verona.
Fu da questa conoscenza che in seguito, da un gruppo di noi maturò l'interesse all'attuazione del Dodicesimo dei quindici articoli di cui era composta. Fummo talmente convinti della sua fattibilità, che la ritenemmo una affascinante avventura da cavalcare, lasciandoci gioiosamente coinvolgere.
Ritengo che il fatto di essere figlio di uno degli artefici della sua compilazione, sia stato un motivo, se non il pricipale a spingere Pellegrini junior, a porre la prima pietra, si era nel settembre del 1972, costituendo una S.P.A. denominata C:I:S:E;S. (Centro Italiano di Sviluppo Economico e Sociale) della quale ne fu l'animature, il coordinatore, un finanziatore e un attivissimo ricercatore di azionisti. Ritengo doveroso dargli il giusto merito e anche se successivamente, non furono tutte rose e fiori, anche se, per quanto mi riguardava, all'epoca si comportò da buon amico.
La maggioranza dei soci azionisti avevano contribuito con cifre sopportabili secondo le possibilità economiche di ognuno e solo alcuni che poi fecero parte del consiglio della SPA si impegnarono con cifre più importanti. Alla conduttura delle attività, ovviamente retribuite, c'erano le persone più vicine a Pellegtrini junior. Altra considerazione da fare è che una parte dei soci che avevano aderito a questa iniziativa, ritenevano o quanto meno speravano che una volta avviata positivamente questa esperienza, quanto meno di rientrare del loro capitale, mentre altri, pur credendo fermamente alla bontà dell'iniziativa, realisticamente davano per scontato, di non vedere più una lira, come effettivamente avvenne almeno per buona parte; comunque per tutti era un modo oserei dire un pretesto, per mantenere sempre vivo il ricordo di quel periodo che va dall'8 Settembre 1943 al 25 Luglio 1945 nel quale furono parte integrante e che nel bene o nel male ne scrissero la storia.
Ci tengo a rimarcare che la CISES nello svolgere le varie attività che si era prefissato, dava ai suoi dipendenti la possibilità di esserne parte integrante e che se ci fossero stati, avrebbero pure loro partecipato agli utili dell'azienda.
Per quanto possa ricordare la prima o comunque una delle prime operazioni fatte dalla SPA fu l'acquisto di un terreno collinare vicino al paese di Rassina nella provincia di Arezzo. Praticamente era una mezza collina al cui interno c'erano i resti di un monastero Francescano del mille e cento. Su questo terreno ci fu costruito un capannone di dimensioni notevoli che in seguito ospitò un allevamento di Tacchini. Ovviamente ci furono inseriti gli accorgimenti del caso atti allo scopo cui era stato destinato, con annessi e connessi. La conduzione di questo allevamento fu affidata ad un certo Sapienza. Nel breve assunse dimensioni di notevole importanza, ma purtroppo accadde l' imprevisto: improvvisa sopraggiunse una epidemia che decimò gli animali. Furono fatti tutti i tentativi possibili, ma onde evitare il peggio non ci fu altra alternativa che cessare l'attività.
Dopo, ritengo anche per mettere a frutto il capitale immobiliare, fu deciso, sfruttando quanto restava del vecchio monastero che era vicino al paese di Rassina, di fare un progetto urbanistico che comprendeva un certo numero di appartamenti e il responsabile di questo ultimo lavoro, si chiamava Natale. Per la sua realizzazione la CISES costituì la Immobiliare Agricola Valletonda S.R.L. Praticamente tutti gli appartamenti furono acquistati da soci e camerati e ricondo che quando ebbi l'opportunità di andarci, ne fui entusiasta a tal punto che quando chiesi se c'era rimasto ancora in vendita qualcosa la risposta fu negativa. Mi contentai di prendere come ricordo alcuni sassi particolari che ancora conservo. Ricordo lo spirito che ancora era palpabile di chi ne prese il possesso e fu una bella realtà: una comunità di ex reduci della R.S.I.
Nel dicembre del 1984 furono materialmente consegnate ad ogni socio varie quote ognuna delle quali aveva un valore nominale di 800.000 delle vecchie lire in base ai versamenti di vari importi sempre in vecchie lire precedentemente effettuati.
Sono costretto a non addentrarmi nei particolari di queste due attività e pertanto non posso dare un giudizio critico sulla loro conduttura. Non ne avrei gli elementi indispensabili.
Comunque non dimentichiamo, come del resto è stato ampiamenete documentato sull'articolo di ACTA che qualsiasi iniziativa pur piccola che bene o male fosse stata presa dalla CISES, non solo era mal vista, ma veniva boicottata con ogni mezzo.
Poco dopo fece seguito una nuova iniziativa: la costituzione di una piccola banca ubicata nel centro storico di Caserta.
In realtà era quello che comunemente viene chiamato sportello bancario ma non per questo meno importante. Rispetto alle precedenti iniziative aveva una visibilità molto superiore e non poteva essere ignorato ed a maggior ragione mal sopportato. Fu inserito come direttore un brasiliano un uomo di fiducia di Pellegrini iunior prelevato da una azienda che aveva in Brasile perchè va ricordato che alla fine della guerra suo padre, per sfuggire a prigionia, processi o a qualcosa di peggio, si era rifugiato e sistemato con tutta la famiglia in quella nazione.
Ricordo le comunicazioni che periodicamente arrivavano, rendiconto ecc. e pareva che tutto dovesse procedere al meglio. Mi pare di ricordare che questa esperienza ebbe la durata di circa due anni e fu Felice, cosi si chiamava, socio in affari di Teresio, maggior azionista uomo esperto e capace, che ad un certo momento si rese conto che qualche cosa non funzionava come avrebbe dovuto. Non ci pensò su due volte ed essendo nel frattento capitato un ipotetico acquirente, si fece forte della sua maggioranza nell'assemblea e gli vendette la banca per contanti, dando cosi la possibilità alla maggior parte dei soci, quelli più esposti, a rientrare in possesso del capitale che avevano in vestito in quella operazoione.
Fu proprio in quel periodo che Pellegrini rientrato da uno dei suoi soliti viaggi dal Brasile, prospettò una nuova idea a suo dire molto interessante. Si era convinto, anche attraverso sondaggi che aveva fatto, che per l'attuazione della carta di Verona in quello stato avrebbe trovato un terreno fertile e cosi proponeva una nuova società e dato che riteneva utile effettuare l'atto costitutivo da un notaio di Chiasso e ovviamente sarebbe stato recessario per chi era interessato a parteciparVi, di andare in Svizzera.
Detto fatto, ma da allora si perse ogni traccia sia di Pellegrini che dei soldi e nessuno lo ha più visto sia in Italia che altrove. Come si usa dire, era sparito. Qualcuno lo sta cercando ancora, naturalmente senza esito. Solo nel 1988, quando fu possibile la vendita della proprietà della S.R.L. Agricola Valletonda che i soci della stessa poterono rientrare parzialmente in possesso di quanto avevano in precedenza sborsato.
Io mi sono limitato a descrivere le fasi di alcune attività che la CISES intraprese in modo sintetico e sommario, non avendo la conoscenza del dettaglio di ogni singola iniziativa e ovviamente ognuno leggendo .quel poco che ho scritto, può farsi un idea e valutare se fosse stata un esperienza meritevole o meno di essere vissuta. Per quanto altro, mi riferisco ai risultati pratici, sarebbe stato utile conoscere la capacità operativa delle singole persone addette alla loro conduttura.
Pensando alle ripercussioni politiche che ci furono sarei propenso a credere, che l'assalto all'arma bianca che ne seguì contro i fautori di questa impresa che ebbe la durata di un certo numero di anni, con tutte le ripercussioni negative che ne seguirono, certamente non passò inosservata; si può tranquillamente affermare he sin dal suo nascere si cercò con ogni mezzo di mettere i bastoni tra le ruote e ostacolare il suo già di per se difficile cammino. Basti pensare cosa fecero le autorità dell'epoca, almeno con i soci più in vista, senza dubbio anche impaurite dal grosso risultato che in quel periodo Almirante aveva avuto alle elezioni del 1972 e ritengo avendo pure un occhio di riguardo alle successive elezioni a ridosso e fatte nel 1974, se non proprio annullarlo, quanto meno contenerlo.
Ci fu volutamente una campagna denigratoria che prese a pretesto questa iniziativa e usando la stampa come cassa di risonanza, fece molto chiasso.
Fu addirittura paventato un nuovo pericolo fascista, dato che certi individui avevano avuto la spregiudicatezza di mettere in atto la Carta di Verona. Il burrattinaio correva voce fosse il ministro Taviani, che a sua volta avrebbe dato l'incarico ad un personaggio del Piemonte del quale non faccio il nome perchè è facile intuirlo, che non ebbe scrupolo alcuno colpendo con mano pesante in modo indiscriminato, cercando di allarmare l'opinione pubblica, mettendo alla berlina personaggi scelti tra quelli che potevano avere una certa risonanza e fu un lavoro cosi ben fatto che all'epoca si pensò il premio ultimo per lui fosse stata la poltrona a Montecitorio. Ovviamente non mancarono per alcuni l'arresto per altri gli avvisi di garanzia, altri ancora gli interrogatori, le perquisizioni nelle abitazioni nel loro studi e nelle loro aziende e su tutti fu messo in bella evidenda la loro precedente appartenenza e militanza nella Repubblica Sociale Italiana. I più fortunati incluso il sottoscritto, furono invitati a presentarsi in questura e sottoposti ad un interrogatorio
che per quanto ricordo fu più di circostanza che di intensità; praticamente si risolse a poco più di una formalità, almeno rispetto ad altri che avevo subito negli anni precedenti.
Pensare che era tutta gente le cui famiglie a causa della loro appartenenza al vecchio regime avevano subito per tanto anni torti e umiliazioni che dalla mattina alla sera avevano conosciuto la miseria più nera e per risalite la china non era stato facile per nessuno di loro. Chi aveva creato un azienda altri iniziato una professione e cosi altri ancora nei vari settori delle attività produttive del paese. Non dimentichiamoci nell'immadiato dopo guerra la legge che tagliò le gambe a molte famiglie: "Arricchimento durante il passato regime". Un esempio per tutti. Mio padre negli anni 20 aveva costruito un azienda di inportanza nazionale nel suo genere e già all'epoca ospitava oltre cento dipendenti e che alla fine deglio anni 30 per non licenziare parte dei dipendenti, fu costretto ad espatriare cercando e trovando in Africa altri mercati, una volta rientrato dalla prigionia assieme al sottoscritto e ai miei due fratelli pure loro prigionieri uno in Inghiletta e l'altro in Africa, per poter nuovamente iniziare a lavorare e racimolare un po' di soldi, tutti e quattro dovemmo firmare una cambialone
(che almeno per quanto mi riguarda fu il primo e l'ultimo) e nonostante questo, causa i suoi passati politici, fu accusato di arricchimento con il passato regime. Aggiungo pure che avere il prestito, dovemmo pagare una bella tangente. a qualche papavero di turno.
Ognuno solo ed esclusivamente con i propri mezzo si era ricreato il suo piccolo o grande spazio che ora si cercava nuovamente di distruggere e attraverso la stampa infangando i loro nomi.
Quando si calmarono le acque e questo allarmismo di ricurgito della destra cessò, un avvocato di Milano Lorenzo Ribotta caro amico, che faceva parte del consiglio della CISES e coinvolto come tanti altri, compreso quelli che come lui provenivano dalla scuola A.U. d Rivoli Torinese e di altre scuole, intentò una causa per diffamazione ai giornali da far dire al giudice cui era stata affidata : "....ci sono tutti i giornali, ma proprio tutti, manca solo topolino... ".
L'unica consolazione fu un ammenda per questi giornali costretti a mettere gratis a disposizione dei danneggiati, una pagina intera dei rispettivi quotidiani. Ben magro ricarcimento. Comunque dato i tempi, viene da pensare che la causa andò fin troppo bene.
Per finire non posso tacere su un partcolare.
Quando ebbe inizio questa avventura, io ormai iscritto da tanti anni al MSI, da povero illuso quale ero mi permisi, sia pure in modo informale, di chiedere, spiegando i motivi cui la CISES SPA. si ispirava, se c'era qualcuno disposto a parteciparvi.
La risposta è facile intuirla e se comprendevo per ovvie ragioni l'impossibilità del partito di parteciparvi, non trovai altrettanto comprensibile che neppure uno tra gli iscritti si fosse sentito, anche solo per solidarietà, in dovere di rischiare una sola lira. Fu allora che pensai bene di chiudere questa militanza, con una lettera irrevocabile di dimissioni.
(Agosto 2008)
Questo scritto in buona parte è riportato sul sito http://digilander.libero.it/rsi_analisi dopo essere entrato, cliccare: C.I.S.E.S. prove di socializzazione.
Inoltre è stato richiesto tramite Mario Pellegrinetti dall'Ing. Conti della direzione della Fondazione della R.S.I. e mi si comunica della sua collocazione nell'archivio del C.I.S.E.S. presso l'ìstitto storico della R.S.I. A
LA CICOGNA.
Ricevute per pagamenti di due quote della CISES
2 Azioni CISES
Tra realtà e fantasia.
Come arrivarono sulla sommità di quel colle, sotto di loro si affacciò una vallata che aveva sul fondo un gran bosco.
Ciro vide tra gli alberi un certo movimento, ma non gli dette importanza e mentre se ne stava in piedi a guardare e riprendere fiato, sopraggiunsero alcuni soldati che si misero al suo fianco. Uno di loro, che non aveva mai visto in precedenza, doveva essere senz'altro di un altro reparto, gli si mise proprio davanti. Ritenne fosse della sua stessa età, non doveva superare i diciotto diciannove anni.
Accadde tutto in un attimo. Lo sentì pronunciare una parola, "mamma", ma non con forza, non urlata o con la disperazione dell'ultimo anelito di vita, ma come si può dire ad un amico "ciao" e non ebbe neppure il tempo di sorreggerlo che cadde a terra esangue. Solo allora udì lo sparo che lo aveva raggiunto al cuore.
Il suo primo pensiero fu "quel colpo era indirizzato a me non a lui". Infatti il cecchino aveva avuto tutto il tempo per prenderlo di mira, perché il posto che aveva occupato fino pochi attimi prima, era completamente allo scoperto; quel ragazzo inconsciamente, gli aveva fatto da scudo, salvandogli la vita.
Alcuni giorni prima, dopo una lunga giornata di marcia, il suo plotone aveva fatto sosta in un piccolo paese di montagna e come del resto tutti gli altri, si era sistemato alla meglio in una di quelle case disabitate e mezze distrutte.
Durante la notte il freddo era pungente, costretto come era a dormire per terra, sul nudo pavimento e senza coperte.
Posta all'estremità del paese c'era una piccola baita dove ci viveva una vecchina, con la sola compagnia delle sue capre.
Ci era capitato per caso ma, senza un particolare motivo, quella nonnetta lo aveva incuriosito.
La sera l'andava a trovare e le comprava del latte, che credette di capire, era l'unica sua fonte di sostentamento, ma anche nel corso della giornata, quando gironzolava per il paese senza una meta, non era raro ci facesse una scappata.
La trovava sempre davanti la porta della baita con il viso rivolto ai raggi del sole, seduta su una sedia di legno impagliata e come lo vedeva arrivare, non nascondeva una certa irrequietezza. Incominciava a muoversi su quella sedia quasi come per darsi un contegno; poi gli porgeva uno sgabello e come lo vedeva seduto ed a suo agio, cominciava a parlargli.
Si esprimeva in dialetto e lui, pur non comprendendo una sola parola di quello che diceva, trovava quella sua voce ugualmente suadente e aveva netta la sensazione che raccontasse tante belle cose. I suoi discorsi erano lunghi anche se intervallati da altrettante lunghe pause. Ascoltarla, era un vero piacere. Si limitava a sorriderle ritenendo questo l'unico modo per farle capire che apprezzava il suo dire anche se non sapeva cosa rispondere. Non immaginava quanto, ma senza ombra di dubbio, aveva la certezza che lei per il fatto stesso di avere vicino una persona che la ascoltava e le dava una certa considerazione, si sentiva appagata.
Una mattina all'alba, fu dato l'ordine di partenza e inquadrato con gli altri, attraversò il paese.
Lei era come al solito seduta davanti la porta della sua baita a carpire i primi raggi del sole e pareva attenderlo. Anche se confuso con gli altri, lo vide. Ciro capì perfettamente dagli occhi, per un attimo incrociarono i suoi, che lei sapeva che si sarebbero rivisti.
Si alzò con un certo sforzo dalla sedia appoggiandosi con tutte due le mani alla spalliera, si eresse come mai l'aveva vista fare e protese la mano destra verso di lui, parve quasi toccarlo, tracciando nell'aria un segno che vide nitido come inciso sulla pietra. Più che per benedire era un gesto di tenerezza e di protezione.
Si sentì un poco come quando da bambino, sua madre lo stringeva al seno e lo consolava per qualche cosa e lui le si abbandonava completamente, perché quel gesto gli dava una grande pace.
Disse pure qualche cosa, vide le sue labbra muoversi, ma il rumore dei passi cadenzati sull'acciottolato, gli impedirono di ascoltare per l'ultima volta quella suadente voce.
Anche se nel suo intimo si sentisse un poco ridicolo, da quel giorno ebbe netta la senzazione che quella mano alzata, come per incanto, avesse compiuto il miracolo di proteggerlo e renderlo immune da qualsiasi dardo, come un novello Achille.
Certamente il desiderio di infondere a se stesso il convincimento di un qualche cosa che bene o male gli desse tranquillità, gli faceva vedere e immaginare cose surreali; comunque sia, da quel giorno raggiunse una serenità ed un equilibrio che prima non sapeva esistessero ...
Assieme agli altri compose sull'erba, dove era caduto, il corpo di quel povero ragazzo; aveva ancora gli occhi aperti che fissavano l'azzurro del cielo. Erano rimasti sereni, come serena era stata la sua invocazione, che certamente aveva compiuto il miracolo di materializzare nell'ultima frazione di secondo, un volto di madre e gelosamente l'avevavo carpito ed immagazzinato per quel lungo viaggio. Pietosamente, facendo una leggera pressione con due dita della mano, chiuse quegli occhi; poi fu portato via. Solo allora Ciro alzò lo sguardo verso quel punto da dove era partito lo sparo e per un attimo ebbe l'impressione di vederla semi nascosta coma da una nebulosa. Ora era certo, la vedeva veramente, si trattava della sua vecchietta e gli parve di capire da un suo impercettibile segno, che avrebbe mantenuto la promessa e sarebbe ritornata.
Sopraggiunse la notte e con la notte il sonno.
Dormiva. Ma nel sogno aveva gli occhi ben aperti perché la vide e udì pure la sua voce. Gli parlò come sempre aveva fatto, in quel suo dialetto per lui incomprensibile allora come in quei momenti, con la sola differenza che poteva ugualmente capire cosa gli stava dicendo.
Raccontava che la sua vita terrena era cessata quel giorno stesso e si trovava in una zona intermedia.
Sapeva. Proprio per aiutarlo, aveva atteso il più a lungo possibile, ritardando il momento di salire verso la sua nuova e definitiva dimora. Doveva partire e per il futuro non avrebbe potuto fare più niente per lui.
Si stava allontanando a vista d'occhio e fu solo all'ultimo istante che Ciro ebbe il coraggio di dirle, di urlarle con quanto fiato aveva in gola "ma non così ... quali oscure leggi regolano il diritto alla vita e alla morte ...". Non udì risposta. Ancora una volta la sua mano destra si alzò per tracciare nell'aria un segno nitido come inciso sulla pietra, ma non più di protezione, era un addio.
In quel 25 Aprile del 1945 ormai quella nonnina non aveva più alcun potere, non poteva certo proteggerlo e fu la sua fine. Prima le ferite, forse non gravi a seguito dello scoppio delle mine, successivamente la prigionia. Per quanto tempo, per quanti giorni? solo ore e molto poche, ma sufficienti per farne di un giovane ventenne, un Eroe: Al rifiuto di voler rinnegare il suo trascorso di militante e combattente nella Repubblica Sociale Italiana, i partigiani se pur ferito, lo fucilarono.
(Un modesto omaggio al camerata e fratello Ciro Marianini-Aprile 1998)
(Realtà 1944/45- Fantasia 1998)
La vera storia della fine dei gemelli Costalli
Riportando quanto si trae dal Tuo bel libro-memoria sul tentativo di
fuga dei Costagli del 6 maggio 1945, ho trasmesso una prima risposta.
Ben venga un "documento" che migliori la conoscenza del tragico evento.
Porgo il saluto migliore."
Arturo Conti.
"Il giorno 22/04/2010 alle 11.36 +0200, Ulrico Guerrieri ha scritto:
Caro presiidente,
Se ti interessa lo scritto in mia mani
per trasmetterlo, in tal caso di faccio invio delle
fotocopie, ma se può interessarti anche per
inserirlo nell'archivio, in tal caso ti invierei
gli originali debitamente firmati.
Fammi sapere e subito provvederò. Con la massima
stima un cordiale saluto."
Ulrico Guerrieri.
"Ripeto, sono lieto della Tua collaborazione.
Se ritieni che il nostro Archivio sia idoneo a conservarli affinché le
future generazioni li consultino, accetterò con soddisfazione e
responsabilità i possibili originali sull'evento dei due Costagli.
Preferirei che fossi Tu, magari il 20 giugno, a consegnarli coram populo
a Cicogna di Terranuova Bracciolini.
In attesa, ricambio le cordialità."
Arturo Conti.
A pagina 12 di ACTA il trimestrale della fondazione della R.S.I.- Istituto storico N1 del 2011, viene riportato buona parte di quanto a suo tempo da me consegnato alla fondazione medesima e che qui sopra ho integralmente trascritto. Occupa l'intera pagina e questo oltre che ovviamente farmi piacere, penso sia utile perchè permette di rendere ulteriormente nota questa triste vicenda, che purtroppo non fu la sola accaduta nel campo di concentramento n. 339 di S.Rossore nel lontano 1945. Un doveroso ringraziamento al presidente Arturo Conti, anche a nome di Sergio Moro del quale purtroppo già da tempo non ho più notizie.
(A Cignogna un momento della manifestazione. Parla Mario Pellegrinetti.)
Alfredo Pazzaglia.
Alcuni mesi fa stavo parlando con due amici del più e del meno e non ricordo per quale motivo, feci alcuni nomi di ex allievi del collegio navale di Venezia della GIL (gioventù italiana del littorio) con i quali nei primi anni quaranta e per tre anni, ci avevo condiviso gioie e dolori. Tra
gli altri feci il nome anche di Alfredo Pazzaglia e Mario Pellegrinetti, uno dei due, che era stato iscritto per vari anni al Movimento Sociale Italiano (MSI) e credo che pure ci avesse ricoperto qualche carica, non potè fare a meno di chiedermi se questo Pazzaglia era la stessa persona che ne era stato presidente. Ovviamente confermai. "Ma perchè non ne parli nel tuo sito," mi dice "sarebbe interessante, nell'ambiente era una figura di spicco" . Non gli risposi, però mi rimase il chiodo fisso in testa ed ora, dopo alcuni mesi, questo chiodo me lo voglio proprio togliere e dirò con gran piacere. La nostra lunga convivenza di vicini di banco e negli anni a seguire nel dopo guerra, gli incontri non frequenti ma intensi furono sempre improntati ad una grande amicizia e reciproca stima.
Nel lungo percorso della mia vita, a seguito delle varie attività che avevo esercitato, mi era capitato più volte di andare a Napoli e immancabilmente dedicavo qualche mezza giornata per fare il solito giro della città, andare al museo di Capodimonte, salutare il Maschio Angioino e quando avevo più tempo a disposizione, le mie mete preferite erano Pompei e i templi greci a Paestum.
Anche quella volta, si era alla fine degli anni 50 primi sessanta, come ero uso fare, mi diressi direttamente all'Hotel Terminus che è situato nei pressi della stazione. Come entro e mi avvicino al bancone per prenotarmi non credo ai miei occhi, chi vedo? ma certo era proprio Alfredo. Ne erano passati degli anni, ma era impossibile sbagliarsi, Stava pagando il pernottamento per poi andarsene. In quello stesso momento si gira e sul suo volto leggo la sorpresa e la gioia ovviamente ricambiata, contrassegnata da un largo sorriso.
Ci abbracciamo e direi piuttosto commossi. In quei pochi minuti ci dicemmo tutto e niente ma quello che fu ben chiaro, il recoproco impegno di rivederci e di non perderci più di vista.
Mi spiegò che si trovava a Napoli perchè aveva un udienza in tribunale nella mattinata, ma subito dopo sarebbe partito per rientrare a Cagliari.
Fisicamente longilineo Alfredo, era niente affatto somigliante ad un Sardo come ogogliosamente lui stesso si era dichiarato, ma come aprì bocca e proferì la prima parola, non ci furono più dubbi, cagliaritano doc che in fatto di grinta ne aveva da vendere. I primi tempi, certe sue prerogative gli costarono salato specie per quell'atteggamento da eterno corrucciato che aveva assunto davanti al consiglio degli anziani ( era una consuetudine ai nuovi arrivati, effettuare un trattamento simile alle matricole nelle universita), anche se era facilmente intuibile, ma con il senno del poi, che per lui quell'atteggiamento non era altro che una forma di autodifesa.
Intanto fu costretto ad ingoiare più di un rospo prima di capire che non ce l'avevano particolarmente con lui e in primis ricevere qualche otto di punta di troppo. (Si trattava di otto pugni chiusi di otto allievi, posti tutti sotto il mento del povero Pivolo che in tal modo veniva sollevato il più possibile verso l'alto al grido di oh issa come si trattasse di alzare il Boma di una barca. Una volta sospeso in aria per alcuni secondi i pugni gli ruotavano sotto il mento, poi subito dopo all'unisono venivano mollati facendolo inevitabilmente crollare a terra).
Dopo qualche mese si era perfettamente affiatato, fraternizzava con tutti noi, a parte qualche solitario sfottò del solito burlone. Smussò pure quel caratterino che aveva ricevuto in eredità dai suoi avi, rendendosi conto che al Navale eravamo tutti figli dello stesso padre, il mare e della stessa madre, la Patria.
Nello studio come largamente previsto, si dimostrò molto preparato ma niente affatto sgobbone a differenza degli esercizi ginnici per i quali dovette usare tutta la sua tenacia e caparbietà che in questo caso gli vennero in aiuto e che gli permisero di mettersi alla pari con tutti noi.
Giacomino il secondo fratello faceva il rappresentante, ma pure lui per un certo periodo ebbe delle cariche politiche a Sassari, credo alla provincia. Il più giovane, Franco stava in negozio con Nino, che ritengo nei suoi anni giovanili, gli avesse pure fatto anche da padre.
Con Franco ci siamo rivisti. Da ospite ho passato con lui qualche bella serata e ogni tanto ancora ci telefoniamo. Gran brava gente, molto unita, molto stimata nella zona, della quale mi è rimasto e mi rimarrà per quello che ancora avrò da vivere, un gran bel ricordo. E' tramite questa famiglia che in un certo periodo, sia io che Alfredo ricevevamo reciproche notizie. Poi successe l'imprevedibile, diciamo che il destino ci riservò un altro colpo di fortuna.
Fu a Palau dove ero appena sbarcato dal traghetto che proveniva dalla Madalena. Ci ero andato per il solito giro di lavoro e una volta sul piazzale del porto, mi imbatto in un gruppo di giovani a loro volta pronti ad imbarcarsi per la Maddalena, e in mezzo a loro chi c'era? Alfredo. I soliti abbracci anche questa volta frettolosi perchè il battello stava per ripartire, ma ebbe il tempo per spiegarmi che proveniva da Cagliari e stava andando alla Maddalena per portare quei giovani che erano tutti del MSI a rendere omaggio alla tomba di Garibaldi. Capii che ormai nel partito c'era dentro a tempo pieno e a conferma di quello che pensavo mi dice "Alle prossime elezioni politiche mi candiderò, ricordami ai tuoi amici Oggiano e dì loro che mi votino," come ce ne fosse stato bisogno, ma comunque a suo tempo riferii. Mentre già si affrettava verso il battello, aggiunse < Se sarò eletto deputato festeggeremo assieme a Venezia >. Si era nella seconda metà degli anni sessanta e puntualmente nel 1968, assieme ad altri ex del Navale, Benito Diamanti, Piero Andrighetti e Giuseppe Ponchietti detto Geggè ci ritrovammo in piazza S.Marco e per festeggiare cenammo in un ristorante nei pressi del Rialto.
Fu in quell'occasione, che ebbe modo di raccontare di come nel 1943 appena sedicenne, dopo l'0tto Settembre, partì volontario entrando nella Decima Mas del principe Borghese e come dopo la guerra si iscrivesse alla facoltà di giurisprudenza e per non smentirsi, in breve divenne dottore in legge e poi avvocato. Fu sempre iscritto al MSI sin dalla sua fondazione e in breve divenne un personaggio politico.
Era la stessa storia di molti di noi ex del Navale di Venezia, pure io, come Benito che fu ufficiale nella S.Marco e combattè sulla Linea Gotica. pure Geggè anche lui S.Marco ma dopo la resa preferì arruolarsi nella Legione Straniera facendosi pure la guerra del Vietnam e quando lo rividi era un cittadino francese.
Quanto ci raccontammo e quanto ci sarebbe da raccontare, ma ora mi fermo a questi pochi dati.
Ci risentimmo pochi mesi dopo a telefono e tra l'altro, sapendo che stavo costruendo casa a Costa Paradiso, mi dice "Promettimi che la prima volta che capiti in Sardegna, verrai qualche giorno a Cagliari da me, ne sarei particolarmente lieto".
Ovviamente accettai l'invito di buon grado e a Primavera inoltrata quando l'estate del 1969 ormai era alle porte, una volta giunto con la nave a Olbia, anzichè puntare a Nord verso la Gallura, mi diressi a Sud verso il Campitano.
Ricordo che arrivai a Cagliari nel tardo pomegiggio e Alfredo mi stava aspettando. Cenammo a base di pesce in compagnia di sua moglie che fu di una cortesia squisita e al mattino successivo di buon ora ci trasferimmo a Teulada, dove una volta arrivati, capii che mi aspettava un soggiorno da sogno. Conoscevo di nome capo Teulada perchè in quegli anni avevo letto che la marina militare non di rado ci faceva le esercitazioni navali.
Nella casa dove fui ospitato di sua proprietà, ci trovai tutto ciò che mi avrebbe permesso di trascorrere giornate piacevoli. Non era molto grande, ma accogliente. Avevo la massima indipendenza e nel contempo non ero mai solo perchè Alfredo, dovendo spesso assentarsi per impegni di partito e professionali, mi aveva lasciato in compagnia di due giovani e simpaticissimi ragazzi che tra l'altro sapevano fare tutto, incluso naturalmente cucinare.
I fucili da caccia non rimasero per molto nelle rastrelliere e il caminetto non si stancava mai di preparare porcetto e quanto altro avessi desiderato, o che avevamo cacciato. ma anche pescato perchè, ultima chicca, sapendomi amante di pesca subacquea, aveva disposto che una barca di tutto rispetto, fosse sempre attraccata ad una bitta del molo nel sottostante porticciolo a mia completa disposizione. Come potevo non approfittarne. Fu il massimo dell'ospitalità.
In barca con Alfredo (a destra) ed un amico (al centro)
Successivamente ci ritrovammo ad una delle ultime riunioni degli ex a Venezia e alcuni di noi ebbero la buona idea di andare a trovare il professor Del Chiaro che come già detto, per ben tre anni era stato nostro insegnante di lettere, che ancora abitava all'isola di S.Elena in un ppartamento non lontano dal Navale. Eravamo una mezza dozzina di ex allievi tutti della stessa classe. Non se lo aspettava e si commosse a tal punto da non poter trattenere le lacrime. Ma erano lacrime di gioia e di riconoscenza. Ricordo benissimo che quando fu la volta di Alfredo tutti noi presenti avemmo la stessa sensazione di vedere il professore particolarmente imbarazzato, chissà non abbia ricordato quel giorno del 1940 nell'aula della prima liceo scietifico del navale, quando apparve quel ragazzotto un pò ombroso, appena svezzato ma dal ciglio che già la diceva lunga, che ora diventato deputato e uomo politico importante, aveva sentito il dovere di andarlo a trovare e abbraccialo come un padre.
Ci sentimmo telefonicamente anche quella volta quando stavo per partecipare come espositore a Roma all'Eur, in occasione di una manifestazione d'arte e mi aveva promesso che sarebbe venuto a trovarmi, dato che la mostra si protraeva per alcuni giorni, ma non lo vidi arrivare.
Forse era troppo tardi. A quell'impegno purtroppo nessuno può mancare, non ci sono deroghe e così persi l'opportunità di poterlo rivedere un ultima volta.
Lucca 3 Agosto 2011
(Anni 80, all'imbarcadero dell'isola di S.Elena in attesa del battello con Alfredo e la sua compagna)
Dall'etere una voce amica.
16 Marzo 2011
Gent:le Sig.Guerrieri,
Sono un giovane di 32 anni.
Mi è capitato, per caso, di leggere tra ieri ed oggi, il suo Diario di guerra pubblicato sul sito www.guerrieriulrico.it
E' difficile trovare le parole per esprimere quanta emozione la lettura dei Suoi scritti mi ha provocato. Immagino che sarà difficile anche per Lei comprendere come storie di 60 anni fa possano emozionare un uomo nato trent'anni dopo quegli eventi.
Ma tant'è.
Spero che questa e mail la raggiunga perchè desidero ringraziarLa, Lei e quelli come Lei, per tutto quello che avete fatto.
E' vero che, putroppo, la parola "onore" è quasi scomparsa dal nostro vocabolario. E' vero che è quasi morto il concetto stesso di sacrificio per un qualcosa che va al di là del contingente e dell'individualismo più stretto.
Ma glielo posso assicurare. Qualcosa c'è ancora. La fiamma, seppur piccola, è rimasta accesa. Il fuoco è stato tramandato di generazione in generazione.
Se oggi, viaggiando in giro per il mondo, posso camminare a testa alta, nonostante i tanti episodi vergognosi che oggi come allora infangano il prestigio del nostro Popolo, lo devo a quei ragazzi che l'8 settembre decisero di prendere le armi per il loro onore e per l'onore della propria Patria.
Grazie, Tenente Nero!
Stefano
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Caro Stefano giovane amico,
permette vero che La chiami cosi? Per un vecchio come il sottoscritto ormai alla frutta, dopo avere tante volte cantato in una delle nostre canzoni, la bella morte che poi da tanti di noi alla "fine" fu anche cercata, ricevere da un giovane trentenne un attestato come il suo, è rinascere e sentirsi finalmente in pace con tutto il mondo.
Ironia della sorte, mi ritrovo alla bella età di ottantasei anni, vivo e
vegeto a godermi le Sue belle parole che, senza falsa modestia, incondizionatamente accetto, perchè le sento sincere e dette da una persona sensibile, che ama la nostra Italia, che proprio in questo periodo festeggiamo i suoi centocinquanta anni dalla nascita.
Non Le nascondo che in altri scritti, non molti per la verità, ci sono state persone che, bontà loro, hanno voluto complimentarsi, ma Lei mi ha fatto capire che il messaggio che ho tentato di trasmettere, può essere percepito se letto dalle persone giuste.
I Giorni che contano è si un racconto di oltre un anno e mezzo di guerra, serenamente scritto senza alcuna retorica o partigianeria, almeno lo spero.
Ma oltre il racconto fine a se stesso, volevo spiegare cercando di renderlo il più possibile comprensibile, quanto importante per tutti noi fosse prendersi carico di un tradimento e a costo della vita tentare di salvare l'onore della nostra nazione. Almeno quello non fa distinzione tra vincitori e vinti.
Lei ha veramente capito che in quella immane tragedia disperata e bella, il fine ultimo fosse proprio quello.
La ringrazio, caro amico e chiudo nella speranza che chissà un giorno
(ma che spero non troppo lontano), il suo peregrinare lo porti da queste parti e così avere la possibilità di incontrarci.
Di nuovo grazie.
Ulrico Guerrieri
Lucca 17 Marzo 2011
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Caro Sig. Guerrieri,
leggo oggi la sua risposta. Devo ammettere un certo stupore perchè davvero non mi aspettavo che la mia e-mail La raggiungesse e tanto meno che Lei mi rispondesse.
Quello che mi scrive, poi, mi riempie di orgoglio e mi sento onorato.
Vivo a Roma ma spero di avere la fortuna di poterLa incontrare di persona.
Il mondo cambia e pian piano la verità viene fuori. Così è accaduto con il fenomeno foibe. Solo una quindicina di anni fa mi veniva insegnato che erano doline carsiche dove i fascisti buttavano i partigiani. Vien da dire che le bugie hanno le gambe corte...
Nei libri di storia Voi eravate il male, i cattivi senza dubbio alcuno. Io vedevo mio nonno, una persona buona, fascista convinto e qualche cosa cominciava a non tornarmi. Quando si diventa un pò più grandi, viene la voglia di farsi qualche domanda.
E così, via via, si approfondisce. Ci si libera della visione parziale del mondo che si è tentato di inculcarci e si inizia a comprendere.
Ci si imbatte sulla scelta di tanti ragazzi che vollero continuare a combattere sapendo di andare incontro ad una sconfitta certa, di andare incontro alla morte.
Essi dimostrarono che c'erano persone che andarono controcorrente, facendo scelte etiche, anche se sconvenienti. Coscientemente si scacrificarono per un ideale scomodo.
Ma la politica non c'entra: è il gesto, il sacrificio estremo che ha reso il vostro esempio immortale.
Il parallelismo va alle immagini dei vigili del fuoco giapponesi che si incamminano verso la centrale nucleare, consapevoli del loro destino e non ostante tutto decisi nel loro gesto di altruismo. Quanta gente ho sentito emozionarsi di fronte a quel gesto.
Ecco, proprio questo al giorno d'oggi stupisce tanti giovani e ci fa chiedere: noi al loro posto avremmo avuto il coraggio?
Una volta consci di quello che siete stati, a Voi va la nostra riconoscenza e la nostra ammirazione.
La mia fortuna è averLe potuto esprimere questi sentimenti.
Caro sig. Guerrieri, Voi avete vinto e Vi siete conquistati l'immortalità che una vita straordinaria dà.
Nella tragedia che Vi ha colpito avete saputo cogliere l'occasione per mettere alla prova il Vostro valore, cosa che noi, accecati dal benessere e intontiti dalle comodità, ovattati in questa parvenza di libertà, non avremo mai occasione di dimostrare.
Le auguro di vivere felicemente, trasmettendo agli altri quanto più possibile della sua esperienza.
Un abbraccio.
Stefano
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Caro sig.Stefano,
Dice tante belle cose ed è musica per le mie orecchie, ma è necessario anche ragionare un momento e obiettivamente pensare a quegli anni e il clima in cui si viveva.
Nei tre anni del Navale di Venezia Onore, Patria oltre che senso del dovere, amicizia giustizia, ecc. ecc. erano il nostro pane quotidiano, il viatico di tutti i giorni. Inoltre aggiungi il clima del Regime che non era da meno, per me quando arrivò il momento di fare una certa scelta, non potevo avere dubbio alcuno. Potrei aggiungere altre cose e se ha dato un occhiata alle Mie radici capirà perchè. Comunque mi ripeto, fu facile sapere quale era la via da seguire.
Ovvio poi che ognuno di noi, chi più chi meno, avrà aggiunto qualche cosa di suo, ma fare il proprio dovere mi pare sia la cosa più naturale di questo mondo.
Non è che voglia sminuire niente, ma ritengo doveroso inserire ogni cosa nelle sue naturali dimensioni. In altre parole mettere tutti i tasselli al loro posto. Lo ritengo giusto, anche pensando ai tanti veri eroi che appena ventenni ci lasciarono senza rimpianti.
E' stato stampato dall'archivio storico della RSI un volume fuori commercio con la tiratura di mille esemplari, che riporta tutti (o quasi) i caduti a vario titolo in quel periodo. Spaventa.
Comunque sia (questo si che è veramente importante), i Suoi sentimenti non possono che farLe onore e dopo anni e anni di isolamento, leggerli sono le uniche realtà che allargano il cuore.
Ho avuto problemi su internet per questo ho ritardato a risponderLe.
L' abbraccio e Le auguro tutto il bene che merita.
Ulrico Guerrieri
25 Marzo 2011
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Aprile 2011
Egr.Sig.Stefano,
A seguito e mail tra noi intercorse ho creduto possa farle piacere ricevere la copia dello scritto apparso su Acta che mi riguarda direttamente e che allego, anche se è reperibile integralmente sul mio sito alla pagina I sogni nerl cassetto.
A questo proposito se d'accordo , avrei fatto un pensierino di inserire sempre nella stessa pagina i nostri scritti.
Ma mi ripeto, al momento è solo un idea ma che se dovesse tradursi in realtà, gradirei sapere sin da ora e senza alcun problema, il suo pensiero ed eventualmente se affermativo, avere la sua disponibilità .
La saluto molto cordialmente, nella speranza la presente la trovi in ottima forma.
Ulrico Guerrieri
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10 Maggio 2011
Gent.le Sig. Ulrico Guerrieri,
ho ricevuto la Sua corrispondenza e La ringrazio per la pagina di Acta che mi ha inviato.
Riguardo l'intenzione di inserire i nostri scritti sulla Sua pagina web, posso dirLe semplicemente che la cosa mi onora.
Stefano.
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Devo solo precisare che prima di prendere questa decisione, ci ho pensato e molto.
Poi mi sono detto che lo scambio di e-mail intercorso, dovuto esclusivamente al caso tra due persone che non si conoscevano affatto e soprattutto le belle parole di un giovane scritte negli anni duemila su un argomento tutt'ora scottante, era doveroso ricuperarle e non lasciarle cadere nell'oblio e dando anche ad altri la possibilità di leggerle e poterle apprezzare.
Ritengo superfluo aggiungere altro.
u.g.
18 Giugno 2011
Il Rosso e il Nero.
Dopo una piacevole serata passata parlando del più e del meno, non ricordo per quale motivo, ad un certo momento gli chiedo : "mi levi una curiosità, ma quale è il tuo colore politico. Il mio ormai lo conosci da lunga data e mai hai fatto una piega, tanto meno un commento e ora sono io a chiedere, ammesso tu lo voglia, ma politicamente di che razza sei... ? "
Mi è parso egli abbia indugiato un attimo e poi tutto di un fiato mi dice: "Io sono di Rifondazione Comunista.". C'era anche Maria che alla notizia ha fatto un piccolo sobbalzo, mica per niente
solo che non se lo aspettava. Dopo, forse per dare un senso alla sua affermazione, si è lasciato andare ad un piccola esternazione alla quale ovviamente non ho replicato, anzi ho cambiato addirittura discorso.
Circa un anno prima o poco meno, ero in cerca di un esperto informatico perchè avendo
accumulato del materiale, volevo comprare un dominio dove inserire un sito tutto mio.
Mi ero guardato attorno ricevendo pure qualche consiglio sia da mio genero sia dall'amico
Mario che ne aveva una lunga esperienza. Inizialmente ne fui soddisfatto, mai poi non ci volle molto per capire che la cosa migliore era di rivolgersi ad uno specialista di quel settore.
Un giorno per puro caso, entrai in un negozio, attratto dalla vetrina dove avevo notato oltre agli inchiostri per stampanti, anche alcuni oggetti che mi ricordavano quel mondo che andavo cercando di costruirmi.
Il titolare, un giovane che ritenni avesse poco più di una trentina di anni, alle mie domande si dimostrò disponibile ma soprattutto convincente. Aveva un leggero accento meridionale, pur esprimendosi in perfetto italiano.
Da quel primo approccio ne seguirono altri e piano piano si delineò in me la convinzione di avere trovato la persona giusta. Ovviamente la simpatia fece la sua parte, ma quello che mi convinse a
spendere la prima parola che lasciava intendere ciò che avrei voluto da lui, fu la sua disponibilità e la pazienza sempre dimostrata nel rispondere alle mie domande.
Senza tanti giri di parole, mi spiegò le varie possibilità e la spesa secondo la scelta cui sarei andato incontro.
Avemmo diversi approcci e alla fine fu partorito un bel sito.
Nonostante la grande diversità di età diventammo buoni amici e, anche se raramente, iniziammo pure ad incontrarci per fare quattro chiacchiere e cenare assieme.
Poi quella sera, eravamo a casa mia, su mia precisa domanda, che con il senno del poi forse non avrei dovuto fare, ci fu un altrettanto precisa risposta, che per un attimo parve creare tra noi, un baratro difficilmente colmabile.
Passarono alcuni giorni e cosa successe?
- Ciao Ulrico, come stai ? -(Iniziava così l'e-mail che mi aveva inviato).
- Volevo dirti che spero tu non te la sia presa se mi sono
un po' animato l'ultima volta che ci siamo visti, quando si è parlato di
politica. Spero di non aver dato noia a tua moglie.
Ma spero anche che abbiate compreso la mia idea e cioè che
questa attuale politica si è impoverita di valori morali e
tutto va dietro al Dio Denaro.
Per questo preferisco, nonostante io sia comunista, un
fascista, perchè mi sento più vicino ad una persona
(come ad esempio te) che ha a cuore ideali nobili, che ha il
senso dello stato e che antepone questi valori all'interesse
personale.
Ecco, volevo comunque chiedervi scusa se quella sera ho
urtato la vostra sensibilità, ma credo anche che tra amici
bisogna esprimersi liberamente.
Ciao e a presto...-.
Gli risposi ( e tralascio la prima parte).
- ....Comunque anche se mi dispiace tu sia così, sei e
rimani mio amico. Debbo aggiungere che mi rattrista ancora di più il rendermi conto che purtroppo per tutta la tua vita, almeno in politica, sarai sempre un perdente, esattamente come lo è sempre stato il sottoscritto.
Ti abbraccio e a presto -.
Cosa aggiungere. Ritengo che l'amicizia sia una gran bella cosa se arriva a superare anche ideologie così diverse e distanti tra loro. Nello specifico penso che se è vera amicizia, essa si
rafforzerà sempre di più. Poi se ci sarà qualche esternazione del "rosso" o del "nero" anche se non sarà vero, ci diremo ugualmente: Ma si, che vuoi che sia, è solo una battuta...
A - V E. F.
Mi sono concesso una passeggiata in città. Sono pure andato in p/za S.Francesco come spesso mi capita di fare, soffermandomi ad ammirare la marmorea facciata della Chiesa dalla quale ne prende il nome.
Istintivamente ho capito ma poi ho toccato con mano, che le mancava qualche cosa.
Era sparito il fascio forse messo in occasione di qualche restauro nel periodo del passato regime. Aveva inciso una lettera la A e il numero romano V perciò era stato collocato nel 1927 quinto anno dell'era fascista.
Voglio precisare che un occasionale visitatore non a conoscenza della sua esistenza, difficilmente l'avrebbe notato, perchè scolpito con il medesimo marmo e colore della facciata. Credo che sia stato questo il motivo perchè a suo tempo si sia salvato dalla sistematica distruzione avvenuta dopo l'8 settembre del 1943 come era capitato a tutti i simboli che ricordavano il vecchio regime.
Chi l'aveva progettato e collocato palese era stata la sua discrezione a non disturbare in alcun modo la facciata, ma a quanto pare non è bastato.
Ora chissà, magari approfittando dell'imparcatura di un qualche nuovo restauro qualcuno ha pensato bene eliminarlo. Così ho pensato.
...Mi sono svegliato di soprassalto. Che gioia, non era stato altro che un brutto sogno. Comunque di prima mattina ho voluto controllare. Il fascio era sempre al suo posto in alto a destra del meraviglioso rosone e mi auguro ci resti ancora a lungo, diciamo....nei secoli dei secoli... A volte che brutti scherzi fanno questi sogni, proprio scherzi da prete...francescano.
15 Febbraio 2012
(Il fascio in alto a destra del rosone della chiesa di S.Francesco)
Beaux gest.
Capita a volte di leggere su qualche giornale notizie relegate in una delle ultime pagine, scritte da qualche penna alle prime armi, in forma distaccata perchè di poco conto e ritenute utili solo per riempire quel piccolo spazio del giornale rimasto vuoto, quando al contrario sono delle autentiche notizie, magari poco note e ignorate, solo perchè in buona parte tramandate a viva voce da chi le aveva vissute in prima persona.
Una di queste notizie che non so se collocabile esattamente come sopra descritto, ma certamente poco nota ma meritevole di essere conosciuta e apprezzata anche se trattasi di
un piccolo episodio ma denso di contenuti nobili e autentici, che avvenne degli ultimi momenti dell'ultima grande guerra a ridosso del 25 Aprile del 1945.
All'isola di S.Elena a Venezia oggi sede della Scuola Navale Morosini dove io avevo trascorso i primi tre anni del liceo scientifico dal 1940 al 1943 e che all'epoca si chiamava Collegio Navale della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) una volta che noi allievi alla fine del mese di Luglio
del 1943, avendo rinunciato a parte delle vacanze per poter effettuare una piccola crociera lungo le coste Dalmate, appena rientrati a Venezia fummo inviati alle noste case con l'ordine di restarci in attesa di comunicazioni, che mai arrivarono.
Dopo due o tre mesi il Navale divenne la sede di un reparto della Decima Mas che ci rimase praticamente fin dopo il 25 Aprile del 1945.
Proprio alcuni giorni prima di questa data da parte dei partigiani , ci fu un susseguirsi di inviti presto trasformati in autentiche minacce per convincere i Marò a deporre le armi e arrendersi altrimenti successivamente sarebbero stati tutti passati per le armi.
La risposta dei marò fu sempre la stessa: "Venite a prenderci, Vi aspettiamo".
Inevitabilmente mi torna alla mente quando al comando della Fortezza di Savona con il mio piccolo reparto, ormai completamente isolato perchè sia i Tedeschi che i reparti della S.Marco si erano ritirati dalla città prendendo la strada di Cadibona per poi proseguire verso Alessandria per tentare un ultima resistenza sul Po, sempre dai partigiani mi furono fatte una serie di telefonate tutte con minacce se non ci fossimo arresi e non avessimo consegnato le armi.
Per un giorno e tutta una notte non si stancarono mai di telefonarmi, chiamandomi anche per nome, intimandomi la resa, spiegando tra l'altro che ormai la guerra era finita e non ottemperando alle loro richieste saremmo stati tutti fucilati.
Solo all'alba del 25 Aprile quando decisi di fare una "sortita" e trovando i partigiani impreparati, ebbi la possibiltà di agganciarmi con tutto il plotone alla retroguardia in cammino verso Altare, fu come uscire da un incubo. ( Per saperne di più vai al diario ai " I Giorni che contano" e dopo clicca la ritirata).
Anche i marò all'isola di S.Elena, ignorarono le minacce e solo alcuni giorni dopo il 25 Aprile
e prima della inevitabile resa, ammainarono il tricolore , lo tagliarono in tanti piccoli pezzetti che furono consegnati uno ciascuno a tutti i Marò.
I Francesi questa decisione senza alcun dubbio l'avrebbero chiamata "beaux gest" e noi
italiani per questa volta prenderemo in prestisto dai cugini d'oltralpe questa espressione, la
italianizzeremo per passarla ai posteri come un "Bel gesto".
10 Marzo 2012
Le Costituzioni della R.S.I.
Nel numero n.3 , Anno XX del settembre-novembre 2006 del nostro ACTA si fa la presentazione dell'opera Mussolini's intellectuals – Fascist social and political thought, del Prof. A. James Gregor, edito dalla Princeton University Press (Princeton, New Jersey, U.S.A.).
In essa, frutto di lunghi e approfonditi studi, col sostegno di una amplissima documentazione, si dimostra che il Fascismo, lungi dall'essere quel movimento privo di una vera ideologia preteso dall'antifascismo, "rappresentava la sintesi tra una visione organica del nazionalismo ed una revisione antimaterialistica del marxismo" . Il tutto sostenuto da una robusta ideologia che, malgrado i compromessi che il regime ha dovuto accettare nel corso del ventennio per conciliare, nell'interesse di tutti, tendenze e interessi diversi, ha continuato a svilupparsi coerentemente fino al Fascismo Repubblicano della R.S.I.
E, a conclusione della sua opera il Gregor "analizza quale sia stata nel dopoguerra e quale sia oggi l’incidenza della dottrina del Fascismo….." Perché tale dottrina, anche se chiamata con altri nomi, non è scomparsa, ha continuato ad esistere, ha continuato a vivere.
Quindi, se il Fascismo è vivo, ha un senso parlare del futuro del Fascismo, di un Fascismo ancora da venire.
Si possono fare alcune riflessioni su queste affermazioni.
Il Fascismo non era un regime democratico: non c'era libertà di costituzione di altri partiti, non c'era libertà di stampa, non c'era libertà di esprimere opinioni in contrasto con Fascismo. Eppure il popolo italiano lo accettava e nessun partito, nessun governo, in tutta la storia d'Italia, ha avuto una percentuale di consensi pari a quella avuta dal Fascismo: oltre il 90% negli "anni del consenso". Poteva questo consenso essere determinato unicamente dal grande carisma di Mussolini ? O dalla propaganda di cui il regime faceva, sicuramente, un uso sapiente ? Io credo di no. Io credo piuttosto che questa robusta ideologia che gli sopravvive, come sostiene il Mac Gregor, era stata percepita dal popolo italiano, che quotidianamente toccava con mano, attraverso le realizzazioni del Fascismo,il dispiegarsi e il concretizzarsi di questa ideologia.
Questa "robusta ideologia", quindi, si è dispiegata e concretizzata lungo il ventennio fino alla RSI, cioè fin che ha potuto. Ma non solo: essa si è proiettata anche nel futuro producendo quei documenti di intenzioni, di previsioni, di volontà che sono le proposte di costituzione di cui vogliamo parlare.
Ma vediamo prima come si è dispiegata e concretizzata questa ideologia nel corso degli anni.
Il Fascismo nasce, come tutti sappiamo, nel marzo 1919. Il suo "Programma dei Fasci di combattimento" viene pubblicato dal Popolo d'Italia il 6 giugno 1919 e riproposto qualche giorno dopo con qualche aggiustamento. E’ un documento molto stringato. Non ci sono dissertazioni teoriche o cose astratte. E' un elenco di imperativi "NOI VOGLIAMO". Tutte richieste precise e concrete ma che evidenziano precisi obiettivi: la valorizzazione della Nazione e la realizzazione di una vera giustizia sociale. "Una visione organica del nazionalismo ed una revisione antimaterialistica del marxismo" come dice il Mc Gregor. Il nazionalismo coniugato con il socialismo. Un socialismo nazionale. Vediamo alcuni "Noi vogliamo"
Il Fascismo, poi, andò al potere e il concretizzarsi dell'ideologia produsse tutte quelle leggi, provvidenze, istituzioni che crearono lo stato sociale fascista che stupì il mondo, che fu apprezzato e ammirato dai maggiori statisti e anche preso a modello: Orario di lavoro, Assicurazioni contro le malattie, Lotta alla tubercolosi, assicurazione contro gli infortuni, assistenza alle madri e all'infanzia, colonie marine e montane gratuite per i figli dei lavoratori, O.N.D. per una sana e razionale utilizzazione delle ore di riposo con l'elevazione anche culturale dei lavoratori con spettacoli, viaggi, letture, ecc.
Ma, soprattutto, lo sviluppo coerente dell'ideologia con la legislazione in materia di lavoro. Parliamo della Carta del lavoro e del sistema corporativo.
Le Corporazioni furono il tentativo di superare definitivamente la lotta di classe e di promuovere un clima di collaborazione fra datori di lavoro e lavoratori, fra capitale e lavoro, nell’interesse della produzione e nell’interesse di entrambe le parti.
C'è chi ha detto molto male delle corporazioni: che erano state un fallimento, che non producevano nessun effetto positivo,che erano inutili. Io credo di no. Credo che, comunque, abbiano rappresentato un fattore di razionalizzazione della produzione e un fattore di notevole raffreddamento della conflittualità fra datori di lavoro e lavoratori, grazia anche alla preziosa mediazione della magistratura del lavoro, altra realizzazione fascista.
C'è, poi, da tener conto non solo degli aspetti economici ma anche di quelli politici. La partecipazione dei cittadini alla vita politica poteva avvenire (e, in parte, avveniva) attraverso le corporazioni anzichè attraverso i partiti, che erano molto meno rappresentativi della base popolare.
Un insospettato apprezzamento di questo aspetto della organizzazione su base corporativa ci viene, curiosamente, da un partigiano antifascista, quel Duccio Galimberti che, insieme ad Antonino Repaci (nipote di Leonida) redasse un ampio progetto di nuova costituzione europea nel quale veniva accolto, e si riconosceva esplicitamente, il sistema corporativo fascista che, appunto, come base di partecipazione, base elettorale, andava a sostituire il sistema partiti la cui costituzione , udite udite, era vietata.
In realtà c'era qualcosa che non andava. Datori di lavoro e lavoratori erano, sì, insieme nella corporazione ma ciascuno con la propria organizzazione (associazione industriali da un lato e sindacati dall'altro). E con gli industriali che tenevano ben stretto il loro capitale con quello che rendeva. Cioè i proprietari dei mezzi di produzione erano gli industriali, i detentori del capitale.
Il problema, l'anomalia venne alla luce clamorosamente nel 1932 al Convegno di Ferrara sugli studi sindacali e corporativi. Fu Ugo Spirito, filosofo gentiliano, che affermò la necessità che i mezzi di produzione, cioè i capitali, appartenessero alla Corporazione. La Corporazione proprietaria, appunto.
Fu quasi uno scandalo. Naturalmente gli industriali, appoggiati alle forze più reazionarie che ruotavano attorno alla monarchia, furono ferocemente contrari. Gli stessi fascisti di sinistra (Spirito sperava nell'appoggio di Bottai, uomo di grande spicco del fascismo, ma anche Bottai non ritenne di appoggiarlo) furono contrari. E, cosa triste, gli stessi sindacati dei lavoratori, per un forte istinto di conservazione (nella corporazione proprietaria sarebbero stati inutili) furono contrari. E Spirito rimase solo. E la cosa non andò avanti, malgrado che Mussolini avesse scritto sul Popolo d'Italia: “”« Spirito (...) supera le opposte posizioni dell'economia liberale e dell'economia socialista e spiega anche il suo punto di vista circa l'identità fra individuo e Stato, tesi che non merita i 'vade retro' scandalizzati di molta gente che non comprende e quindi detesta ogni filosofico ragionare. Le tesi di Spirito non ci sembrano poi eccessivamente lontane dalla più pura ortodossia dottrinale””
Ci fu molta delusione fra i fascisti che credevano veramente nella rivoluzione e che continuarono ad attendere la seconda ondata che spazzasse via le resistenze conservatrici e consentisse il compimento della rivoluzione fascista.
Poi venne la guerra e furono in molti a sperare che fosse quella l'occasione per scatenare la seconda ondata. Molti furono i giovani che andarono in guerra a morire, convinti dell’imminenza della “seconda ondata”. Berto Ricci, la marcia della giovinezza, i giovani di Bir El Gobi……….
Poi l'8 settembre, la RSI.
La RSI, ha ragione Parlato, è stata una realtà complessa ancora da studiare per approfondire. Non eravamo un pugno di disperati decisi a contendere al nemico fino all'ultimo ogni lembo della Patria.
Sì, forse eravamo anche questo. Ma nella RSI c'era gente che pensava, che si impegnava a portare avanti coerentemente lo sviluppo dell’ideologia. Il primo documento importante sono i famosi “”18 punti di Verona”” Già si ha la percezione che la Rivoluzione si è rimessa in marcia. E' appena uscito un libro di Primo Siena La Perestrojka di Mussolini che analizza accuratamente quel fervore di pensieri e di iniziative che era presente nella RSI. E il “coerente sviluppo” portò alla legge sulla socializzazione delle imprese, che fu un altro importantissimo passo sulla via della rivoluzione. I mezzi di produzione erano ancora di proprietà dei portatori di capitale, ma gli utili dell’azienda venivano ripartiti fra tutti i lavoratori. Forse lo sfruttamento del lavoro non era scomparso del tutto, però era stato drasticamente ridotto.
E fu, questa, l'ultima realizzazione del Fascismo.
Ma lo sviluppo dell'ideologia non si fermò qui. Esso, come ho detto, si proiettò nel futuro. E questo fece con le proposte di nuova costituzione.
Pare ne siano state prodotte molte. Anche altre oltre a quelle che si conoscono. Ci fu un eccezionale fervore costituzionalista, anche incoraggiato dal governo a personalmente da Mussolini.
Quelle che si conoscono e che tutti abbiamo potuto leggere, sono le seguenti:
- Anzitutto quella del ministro Biggini pubblicata da Luciano Garibaldi Mussolini e il professore nel 1983 (Mursia) insieme ai diari. Si tratta di un ampio articolato di 142 articoli che sono una vera e completa costituzione. Fu redatta fra il novembre e il dicembre 1943 su incarico del governo. L'originale scritto a macchina, con annotazioni di pugno di Mussolini, è conservato dalla famiglia Biggini. In campo sociale si anticipa la socializzazione che verrà poi approvata dal governo pochi mesi dopo.
-
Nel 1987, poi, fu Franco Franchi a pubblicare con le Edizioni SugarCo (poi ripubblicato dal Settimo Sigillo nel 1997) Le costituzioni della Repubblica Sociale Italiana. Qui Franchi presenta, con ampi commenti, oltre ai già noti 18 punti di Verona e alla costituzione di Biggini, anche quelle di Spampanato e di Rolandi Ricci. Spampanato indica, anzitutto, i motivi per cui è urgente convocare l’assemblea costituente, fra cui, al motivo numero 7 scrive "Creare le condizioni generali per mantenere e sviluppare l'iniziativa rivoluzionaria…” Poi si diffonde a ipotizzare come dovrebbe essere costituita e come dovrebbe funzionare l'assemblea. Rolandi Ricci si occupa prevalentemente dell'assetto costituzionale dello Stato. In materia di lavoro dice soltanto “La disciplina di qualunque contratto, anche di quelli di lavoro, sarà demandata alla legge od a regolamenti approvati per delegazione del legislatore”
. Tutti i progetti sono rigorosamente democratici nel senso che affermano che la sovranità è del popolo che dovrà eleggere liberamente i propri rappresentanti. - Ma non è tutto. Nel 2002, con la pubblicazione dei Verbali del Consiglio dei Ministri della RSI, è venuto alla luce un altro documento che nessuno fino a quel momento conosceva e che viene allegato al Verbale del 16 dicembre 1943 con questa nota : “Si allega il progetto di “Costituzione” preparato, su incarico del governo, dal ministro dell'Educazione nazionale, Biggini”. Il documento si intitola ALCUNE IDEE SUL FUTURO ASSETTO POLITICO E SOCIALE DEL POPOLO ITALIANO.
Anzitutto a parere di alcuno (per esempio Primo Siena) è questo il primo progetto di costituzione frettolosamente redatto dal Ministro Biggini su incarico del governo. E fu fatto, probabilmente, raccogliendo varie idee circolanti nell’ambito del governo e del partito. E, infatti, è questo e non altri che si trova allegato al famoso verbale del 16 dicembre 1943, data entro la quale era stato chiesto a Biggini di preparare il documento. L’altro, quello formalmente perfetto, sarebbe stato redatto in seguito, con più calma, e questo sarebbe, forse, frutto interamente delle sole idee di Biggini. Ma tutto questo non ha poi un così grande interesse. Quello che interessa sono le idee espresse nel documento allegato al verbale, a chiunque appartengano, da chiunque espresse. Sono, comunque, idee maturate in seno alla RSI e idee che proiettano nel futuro una certa idea di quello che il Fascismo voleva essere o, comunque, poteva essere. Idee forse non condivise da tutti ma, comunque, idee che erano state accolte in quel documento redatto su incarico del governo non lo dimentichiamo. Idee che, comunque, sarebbero state discusse o sarebbero state, addirittura, alla base della discussione se l’assemblea costituente fosse stata convocata. Mi pare che questo sia sufficiente a giustificare la convinzione che di questo documento è doveroso parlare. Quindi facciamolo.
(segue la presentazione del documento allegato al verbale della riunione del governo della RSI del 16 dice,bre 1943, che si può leggere nel mio sito http://digilander.libero.it/rsi_analisi scegliendo dal sommario in prima pagina “Le costituzioni della R.S.I.”)
Lo scritto qui sopra riportato che per usare lo stesso termine dato dell'autore "La traccia" è il filo conduttore di quanto, in una conferenza a Cicogna nella sede dell'Istituto Storico Repubblica Sociale Italiana, Mario Pellegrinetti ha esposto domenica 4 Marzo alla presenza di un folto pubblico, per lo più giovani molto attenti e plaudenti.
L'argomento è palese lo dice il titolo e non necessita di ulteriori spiegazioni.
Io stesso gli ho chiesto di poter ospitare questa "traccia" nel mio sito e chi volesse approfondire l'argomento trattato, lo può fare entrando nel suo sito che è ben evidenziato qui sopra.
Se poi si volesse sapere il perchè di questa mia richiesta, rispondo che i motivi sono più di uno. In primis è la stima e l'amicizia che ho per lui. Poi e non ultimo il racconto su "La Carta di Verona "che si trova all'inzio di questa stessa pagina del mio sito, si sposa felicemente con quanto scritto da Mario Pellegrinetti. Se non altro perchè si parla del primo vero tentativo della messa in pratica delll'articolo 12 della Carta fatto da un gruppo di ex combattenti della RSI nel Settembre del 1972. Nonostante la campagna denigratoria dei governanti e no dell'epoca, che nel tentativo di stroncarla sul nascere, usarono tutti i mezzi possibili e senza esclusione di colpi bassi, rimase funzionante per diversi anni. ( Marzo 2012)
U.G.
Collegio Navale della G.I.L. Di Venezia
Il collegio navale della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) di Venezia, fu costruito nella seconda metà degli anni trenta sull'Isola di S.Elena ed entrò in attività nel 1937. Solo l'aula magna fu terminata intorno al 1941 o primi 42.
(tessera del Navale di Venezia -Prima liceo scientifico 1940-)
Era ed è rimasta una bella costruzione in mattoni rossi e non ci mancava proprio nulla per lo scopo cui era stato destinato e per le necessità di quegli anni. Era collegato come lo è tutt'ora ai Giardini tramite un pontile di legno.
Anni 60. All'ingresso del Navale con altro ex, sul pontile che unisce
l'isola di S.Elena ai Giardini.
Oggi a parte qualche piccola modifica, è lo stesso di allora ed è la sede della SCUOLA NAVALE MILITARE FRANCESCO MOROSINI. Ci sono tornato tre anni fa e rivisitandolo non trovai differenze sostanziali. Il comandante della scuola come ai miei tempi era un capitano di Vascello che fu gentile e si mostrò interessato facendomi molte domande su come si svolgeva la vita degli allievi negli anni quaranta.
Fui ospite alla mensa ufficiali sistemata in una saletta adiacente alla mensa allievi, divisa da una vetrata. Non ebbi modo di avere alcun contatto con gli allievi contrariamente agli anni precedenti, quando in occasione delle riunioni degli ex del Navale fatte in loco, era divenuta una piacevole prassi, direi una consuetudine. Mi riferisco in particolare agli anni sessanta e settanta.
Anni 60. In visita, fotografato con alcuni allievi del Morosini
Quando nel 1940 partecipai al concorso per l'ammissioni alla prima liceo scentifico, c'erano disponibili 27 posti e furono ammessi i primi 27 Pivoli (gli allievi del primo anno). L'esame consisteva in una prova scritta d'italiano, alcuni esercizi ginnici, una visita medica molto scrupolosa e di un colloquio. Il corso aveva la durata di quattro anni, praticamente fino al raggiungimento della maturità, mentre per il classico era di tre anni. Al secondo anno si diventava Anziani . L'età media dei concorrenti, a parte qualche eccezione, era intorno ai15-16 anni.
Natale 1940. In posa da Pivolo per una foto da inviare al babbo militare in Eritrea.
I pivoli subivano i soliti scherzi a volte pure abbastanza pesanti, più o meno come avviene con le matricole all'università, con l'aggiunta dell'otto di punta... il più temuto, ma per quanto ricordo, se fatti nei limiti accettabili, venivano tollerati dai superiori.
Chi arrivava alla maturità, aveva la posssibilità di entrare all' Accademia Navale di Livorno tramite il normale concorso ma a parità di punteggio avevamo il diritto di precedenza rispetto agli altri concorrenti. Altrimenti uno poteva iscriversi a qualsiasi università nella facoltà che preferiva.
Al Navale della G.I.L. di Venezia al completo il numero degli allievi variava da centottanta duecento suddivisi in tre corsi, ognuno dei quali aveva un nome (in genere quello di una nave da guerra). Il mio corso era il Freccia. Avevamo pure il distintivo e la canzone chi iniziava: Su Freccia in alto mar...
Distintivo del corso Freccia
Il Capo Corso era un allievo, il più meritevole, che ci faceva da tramite con i superiori.
Il comandante in prima, come detto in precedenza, era un Capitano di vascello e quello in seconda
un ufficiale superiore della Milizia. Gli istruttori professori di ginnastica tutti laureati alla scuola della Farnesina a Roma avevano anche il compito di mantenere la disciplina ed erano i nostri diretti interlocutori. Tutti indistintamente erano giovani ufficiali della M.V.S.N. (Milizia volontaria sicurezza nazionale). I nostri rapporti li definirei rispettosi e da parte loro con l' intransigenza nel
pretendere il massimo, ma pure con tanta disponibilità. L'aria che si respirava la definirei di cameratismo, ma se uno sgarrava, non doveva aspettarsi alcuna clemenza.
Tra una lezione e l'altra, alcuni minuti di relax. il II° da destra.
I professori erano il fior fiore degli insegnanti in circolazione. Ho un gran bel ricordo di tutti indistintamente. Ognuno aveva una profonda conoscenza della sua materia, ma a modo loro non si limitavano al solo svolgimento del programma, ma nel corso dell'anno scolastico spaziavano su tanti altri argomenti, dandoci sempre modo di dialogare senza remore. Agli scrutini finali erano pochi gli allievi costretti a riparare in qualche materia a Settembre e di respinti ch'io ricordi, ce ne fu uno in tre anni. Comunque le regole erano chiare: chi ripeteva più di un anno veniva espulso. I programmi di studio erano gli stessi delle scuole statali oltre naturalmente l'arte marinara teorica e pratica.
Non ho memoria che qualcuno dei professori o istruttori si siano mai addentrati in argomenti di politica e tanto meno abbiano fatto allusioni di qualsiasi natura, sia nel bene che nel male.
Non avevamo lezioni comportamentali: correttezza, amor di patria, senso del dovere, dell'onore ecc. erano concetti che si esternavano nella quotidianità e si respiravano in ogni momento, non occorreva altro.
1943 il corso Freccia. Prima fila in piedi il V° da Destra
C'erano pure alcuni marinai, addetti all'imbarcadero e un marò trombettiere che stava al posto di guardia anche come telefonista, che a colpi di tromba la sera ci addormentava con il silenzio e la mattina alle sei ci dava la sveglia. Con lui ero entrato in amicizia perchè quasi paesano.
E per il lavoro che esercitava ai telefoni non certo per su volontà, era divenuto il trait d'union tra me ed una ragazzina che abitava vicino alla scuola ai Giardini e con la quale avevo un flirt. Lei non trovava di meglio che cercarmi al telefono tramite il nostro trombettiere e qualche volta pure dopo il silenzio.
Infine c'erano due Capi (sott'ufficiali) sempre della Marina Militare che erano addetti all'istruzione degli allievi per le attività marinare, nodi, rotte, voga vela, ecc. In particolare le lezioni di Capo Astuccio erano le preferite perchè tra un intervallo e l'altro, non mancava mai di raccontarci dei suoi numerosi viaggi per mare e delle piccanti avventure, vere o false che fossero.
1943 Foto ricordo con l'amico marò trombettiere e telefonista
Per omaggiare, per un saluto o gioire su qualche cosa, il nostro urlo era: Pale a prora!!! voga!!! pale a prora!!! voga!!! pale a prora!!! voga!!!voga!!!voga!!! 0... issa! (Chiaro riferimento ai remi della barca posti a prora in posizione di partenza pronti alla voga e issa che era il segnale per alzare sul pennone, una vela o una cima che fosse).
L'alza e l'ammaina bandiera venivano effettuate nel piazzale interno all'edificio.
Cento giorni prima della fine dell'anno scolastico al "MAK P 100" veniva stampato un giornaletto che riassumeva in modo scherzoso gli avvenimenti succeduti nell'istituto dall'inizio dell'anno scolastico e durante la libera uscita. Ricordo una vignetta nella quale si vedeva un allievo in gondola con la sua ragazza con sotto la didascalia "Tempo che fugge più tariffa rigida, incubo di allievo non ben fornito..."
La nostra presenza alle cerimonie ufficiali si limitava alle manifestazioni più importanti in piazza S.Marco e a volte, ma raramente, con una parata a "Passo romano".
Alla fine dell'anno scolastico ai più meritevoli veniva concesso di partecipare ad una piccola crociera della durata di due tre settimane che si effettuava lungo le coste dell'Istria e delle isole Dalmate. Non era obbligatorio perchè di fatto accorciava il periodo delle vacanze estive da trascorrere in famiglia, ma non ho ricordo di allievi che una volta scelti abbiano rinunciato.
Gli attracchi di norma avvenivano nei porticcioli di Capo d'Istra, Parenzo, Rovigno, Porto Rose.
Veniva messo in pratica tutto quanto ci era stato insegnato nel corso dell'anno imparando veramente a navigare a vela. Dovevamo fare tutto da soli, agli ordini di un nostromo. Anche durante l'anno scolastico si faceva qualche uscita in mare con il Flavio Gioia un Trabaccolo che avevamo il primo anno e negli anni successivi con altre inbarcazioni e perciò sapevamo come comportarci. Naturalmente nel pacchetto erano comprese anche le quotidiane pulizie del ponte con manichetta e ramazza.
Anche per le feste Natalizie, volendo, le potevamo trascorrere con le nostre famiglie, anche se ricordo che molti, per un motivo o l' altro, preferivano rimanere alla scuola. Nel mio caso solo la mamma era la mia famiglia, perchè mio padre e i miei due fratelli erano tutti militari ma era un motivo in più per andare, anche se per pochi giorni.
(luglio 1943 parte degli allievi del C/so Freccia nel porto di Parenzo. )
Capitava anche di fare qualche viaggio di rappresentanza, ricordo in particolare quando portammo il Gonfalone di Venezia all'isola di Veglia e quando a Roma per l'E 42 , al Foro Mussolini partecipammo ad una grande manifestazione presente il Duce.
La sveglia al mattino era alle 6, doccia e quanto altro e alle 6,30 si andava in aula per un ripasso sulle materie della mattinata.
Alle 7,30 colazione poi qualche minuto di ricreazione e alle 8 iniziavano le lezioni che normalmente duravano 4 e talvolta 5 ore, con un breve intervallo prima della terza ora. Altro intervallo a fine lezioni e alle 13,00 andavamo a pranzo. La sala era molto ampia e gli allievi erano disposti 10 per ogni tavolo e serviti da camerieri rigorosamente nella loro divisa bianca, con guanti pure bianchi. La mensa ufficiali era nella stessa sala all'ingresso, con i tavoli leggermente distaccati dai nostri.
La ricreazione si svolgeva o all'interno in un salone con biliardo e vari tavoli da gioco, oppure all'esterno negli ampi spazi verdi dove volendo era permesso fumare.
Le prime ore del pomeriggio erano destinate a vari esercizi ginnici a corpo libero che preferibilmente si effettuavano all'aperto, altrimenti negli ampi corridoi esistenti all'interno. Poi molta palestra agli attrezzi (parallele. funi, sbarra, Cavallo, ecc).
Tra le altre attività che si alternavano durante la settimana, primeggiava la voga con lancie della marina da dieci vogatori, che praticavamo sul Canal Grande tra lo specchio d'acqua della nostra Isola di S.Elena e il transatlantico Conte di Savoia che per tutto il tempo della guerra era rimasto all'ancora e mai, almeno fino al Settembre 1943, fu adibito al trasporto di truppe, come erroneamente ho letto da qualche parte.
Pale a prora pronti alla voga. Il primo da sinistra.
La scherma era praticata nelle tre armi a scelta. Io tiravo di sciabola sin da piccolo e continuai con la stessa arma. A chi interessava c'era pure la possibilità di prendere lezioni di equitazione in un maneggio al Lido, ma era un estra ed esulava dagli obblighi di routin.
Dopo le 16,30 tutti tornavano nelle rispettive aule a studiare e preparare la lezione del giorno dopo. Un breve stacco e alle 20,00 c'era la cena che si protraeva fino alle 20,30. La successiva ricreazione aveva la durata di un ora circa, e alle 21,300 tutti a letto perchè alle 22 suonava il silenzio.
Le camerette erano a sei letti ciascuna e gli allievi al mattino dovevano rifarseli e per quanto altro provvedevano le donne addette alle pulizie e al guardaroba.
Nel guardaroba ogni allievo aveva il suo corredo personale contrassegnato con un numero rendendo facile la sua collocazione e la nostra ricerca del necessario. Il mio numero era il 550.
Chi amava l'atletica, aveva a disposizione gli attrezzi di sua preferenza. C'era pure il tennis e un campetto di calcio. Questi ultimi due erano facoltativi.
D'inverno c'era anche la possibilità di andare qualche domenica a sciare. Ricordo che nel 1942 andammo a Zuel dove si svolgevano le olimpiadi invernali delle gare di salto. Erano olimpiadi molto limitate causa il conflitto in atto.
Qualche volta era permesso andare al teatro La Fenice per vedere un opera o qualche altro spettacolo, ma erano autorizzati solo se a carico dell'allievo non era in corso alcun provvedimento disciplinare o problemi di studio e tutte le spese, erano a suo carico.
Va precisato che le famiglie a loro discrezione erano autorizzate a lasciare a chi di competenza un determinato importo a suffragio di questi estra.
Durante una pausa della guardia con altri due allievi.
Sullo sfondo, il Lido e le imbarcazioni adibite alle esercitazioni in mare.
La libera uscita si effettuava la domenica verso le 10 di mattina dopo aver ascoltato la S. Messa celebrata da un cappellano militare e dopo il controllo all'uniforme che doveva essere perfettamente in ordine, si poteva uscire. Il rientro avveniva entro e non oltre le ore 18.
Naturalmente c'era chi non poteva usufruirne perchè consegnato, oppure preferiva dedicare la giornata allo sport preferito ( Atletica,Vela, Ippica,Tennis) o altri ancora che approfittavano della giornata di riposo per ricuperare problemi di studio.
Normalmente si prendeva il vaporetto ai Giardini e c'era chi preferiva andare al Lido e chi invece proseguiva fino alla fermata del vaporetto di piazza S. Marco. Ognuno aveva le sue preferenze chi si fermava in uno dei tanti bar della piazza, altri si irradiavano nei vari Campi e Calle e magari preferivano passeggiare fino al Rialto. In genere il pranzo consisteva con qualche panino, una birra oppure c'era chi andava in una pasticceria o come ultima analisi almeno per tutto il periodo autunnale, ed era la maggioranza, andava in una delle tante bancarelle esistenti a ridosso della piazza e facevano una scorpacciata di Caldarròste, o le frugiate per noi toscani.
Nel pomeriggio la meta preferita era il cinema San Marco a due passi oltre la piazza che gli aveva dato il nome, meglio se in compagnia di una Putea. In tal caso dovevamo stare attenti ai bottoni dorati dei giubbotti della divisa, perchè era di moda nelle ragazze, di farne collezione. Avevano adottato un sistema molto pratico per staccarli e nella bisogna concedevano anche qualche cosa in più per distrarci. Esiste ancora l'immobile, ma è adibito per altra attività.
Il ritorno al Navale era sempre una scommessa contro il tempo perchè perdendo il vaporetto ti dovevi fare il percorso a piedi e il più delle volte anche di corsa per tutta la riva degli Schiavoni con i suoi numerosi ponti, perchè chi arrivava in ritardo, la domenica successiva la libera uscita se la poteva dimenticare.
Gli amanti del calcio ritornavano subito dopo pranzo all'Isola di S.Elena e andavano allo stadio comunale e potevano assistere a qualche partita, con il vantaggio di essere certi di non tardare al rientro, essendo lo stadio a due passi dal Navale.
I turni di guardia erano composti da una squadra di 12 allievi più il capo guardia. A rotazione due allievi armati di fucile si disponevano all'ingresso uno per lato e ogni due ore venivano sostituiti. Nessuno poteva ne entrare ne uscire senza regolare permesso.
Anni 40. Di guardia in presentat-arm
Chiarimenti
Ritengo doverosa una spiegazione su questa mia ultima fatica, che in effetti è stata una gioia e di come è nata l'idea che mi ha spinto a scriverla.
Nella mia lunga vita in sole tre occasioni ho avuto richiesta di collaborazione da studenti su altrettante tesi di Laurea o di dottorato.
La prima volta fu tanti anni fa, si era intorno agli anni sessanta. Una studentessa di Roma mi interpellò perchè era venuta a conoscenza, non so come, che nella mia collezione oltre tutto all'epoca molto limitata, avevo due grandi dipinti del 600 del pittore Pietro Testa detto il Lucchesino. Mi chiese se poteva venire a Lucca per vederli e studiarli dovendo svolgere la tesi di laurea in storia dell'arte su questo artista. Fui ben felice di contentarla e la ragazza mia ospite, passò tutta una giornata per compilare una relazione su questi due dipinti di soggetto mitologico, belli ma dal
soggetto molto forte.
La seconda volta fui interpellato via e-mail da una studentessa di storia dell'arte, non sono passati molti anni, che aveva la tesi di laurea sul Realismo Esistenziale, movimento nato all'accademia di Brera a Milano nella seconda metà degli anni cinquanta e mi chiedeva se ero io quel Guerrieri Ulrico che avrei potuto aiutarla. La mia risposta fu affermativa e le detti tutte le informazioni sui vari artisti con particolare riferimento a Giuseppe Banchieri e Giuseppe Guerreschi.
Le feci pure invio di un volumetto che faceva la storia di questo movimento, pregandola di ritornarmelo essendoci pubblicate alcune opere di mia proprietà. Mi assicurò che lo avrebbe fatto unendo pure una copia della tesi, come del resto aveva fatto pure quella di Roma, con l'identico risultato, negativo.
La terza è di questi giorni. Il 24 Agosto, mi giunge una lettera dalla città di Dresda in Germania di una professoressa che pure lei mi chiedeva se ero io quel Guerrieri Ulrico che negli anni quaranta aveva frequentato la scuola Navale della GIL a Venezia, perchè in archivio aveva trovato il mio nome. Se affermativo, dovendo fare la tesi di dottorato sulle scuole della GIL ai tempi del Fascimo, voleva rivolgermi alcune domande e all'occorrenza, sarebbe pure venuta appositamente in Italia. Naturalmente risposi affermativamente riservandomi mentalmente di farne pure io alcune a lei, perchè mi intrigava il fatto che in Italia di questi argomenti nessuno più conosceva, che nessuno sarebbe stato interessato di conoscere e ammesso ci fosse stato, c'era pure la possibilità di passare qualche guaio e magari essere incriminato per apologia del passato regime. Invece in Germania addirittura se ne faceva argomento per una tesi di dottorato.
Avevo espresso alla professoressa Jana Wolf il desiderio di poter inserire la sua lettera in questo contesto e dopo qualche giorno, tramite e-mail, ho ricevuto la sua piena disponibilità.
Mi ha fatto veramente piacere e approfitto per ringraziarla.
Tengo a precisare che questa mia richiesta era dettata dalla convinzione che la sua lettera più di ogni altra parola, avrebbe fatto capire a chi legge lo spirito per il quale ho rievocato questo ben preciso periodo della mia vita e anche se non era nelle mie intenzioni, è divenuto un vero e proprio Amarcord
Ritornando a quanto in precedenza detto, non deve fare meraviglia questa amnesia di massa. Basti pensare al rapporto esistente tra gli ex
del Navale della GIL con l' associazione degli ex allievi dell'attuale Scuola Militare Navale Morosini. Ovviamente non mi riferisco ad ora che di sopravvissuti saremo alla migliore delle ipotesi una dozzina o poco più, ma ad un passato remoto e pure relativamente recente.
seconda metà anni 80. IV° raduno a Venezia ex allievi. sullo sfondo il Lido
Alcuni anni fa ebbi l'idea di iscrivermi all'associazione degli ex di questa scuola essendo stato in precedenza come tanti altri iscritto all'associazione degli ex del Navale della GIL che per forza di cose poi si dissolse, perchè mi aveva sempre meravigliato che nessuno dell'associazione degli ex Morosini, non avesse proposto di inserirci nella loro associazione come ad esempio, era successo tra gli ex della della Divisione S.Marco militanti della R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana) la cui associazione fu accorpata con quella del battaglione S.Marco oggi reggimento. Su internet cercai il sito dell'associazione. Veniva spiegata la prassi da seguire per iscriversi ma ad un certo punto per andare avanti mi si chiedeva di cliccare l'anno di nascita e mi bloccai. Non erano assolutamente contemplati gli anni di nascita che verosimilmente avremmo potuto avere noi del navale della GIL. Si partiva dagli anni quaranta e a quell'epoca noi eravamo non solo nati ma additittura allievi.... Come dire che noi primi allievi del Navale della GIL dal 1937 all'Agosto 1943, per loro non eravamo mai esistiti.
Ci fu anche un seguito ma preferisco fermarmi, perchè la mia intenzione non è certo di polemizzare.
Mi piace chiudere allegando qui sotto il discorso commemorativo effettuato dall'ex allievo Nicola
Maria De'Angelis nell'Ottobre del 1987 al raduno degli ex tenuto al Navale, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla sua nascita.
(Finito di scrivere il 15 Novembre 2012)
Primi anni 90. Ultimo raduno degli ex del Navale della GIL di Venezia ospiti
All'accademia Navale di Livorno. In alto il V° da destra.